Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Lucano, poi Lelio.

 

LUC.

Sorte non cambia in seno degli uomini il costume;

Ciascun de' propri affetti segue a talento il lume.

Due schiavi a un laccio stesso ridotti in servitute

Uno l'invidia segue, e l'altro la virtute.

LEL.

A te pace, Lucano, diano i penati tuoi.

LUC.

Pace a Lelio e salute diano i penati suoi.

LEL.

Teco a gioir mi porta l'evento fortunato,

Che l'opre di Terenzio in Roma han riportato.

Nella punica guerra ei fu tua preda, e puoi

Gli applausi dello schiavo accogliere per tuoi.

La sua virtù lo rese grato alle genti note;

L'ama Scipione il giovane, dell'African nipote,

E quel che a lui mi lega tenero amore antico,

Fa ch'io sia di Terenzio, qual di Scipione, amico.

LUC.

Grati mi sono, il giuro, i tuoi sinceri uffici;

Giubilo che lo schiavo abbia cotali amici,

E averlo in mio potere nell'Africa ridutto,

Delle vittorie mie fia sempre il maggior frutto.

Roma se ne compiace: Roma l'applaude e loda;

Godo che dai Romani, per cagion mia, si goda.

Anche gli edili stessi, che de' teatri han cura,

Lodano nel poeta lo stile e la natura;

E maraviglia fassi ciascun, che un Africano

Scriva latin purgato, qual s'ei fosse Romano.

LEL.

Non rammentasti invano gli edili. In nome loro

A ragionarti i' vengo; grazia per tutti imploro.

Terenzio, amor di Roma, gloria di nostra etade,

Merta che a lui si doni l'onor di libertade.

Nel rendergli giustizia si accrescerà il tuo merto;

Terenzio di Lucano ognor sarà liberto;

E allor fia nostro, vanto l'ingegno peregrino

Vantar per figlio nostro per nostro cittadino.

Perde nel volgo un fregio il lauro alle sue chiome,

Con questo che l'aggrava di servo abietto nome;

All'opere sue belle, al comico valore,

Vedrai la libertade recar gloria maggiore;

Poiché pende talora il pregio e l'eccellenza

Nei pubblici giudizi dal nome e l'apparenza;

E tal, che mille in seno merti sublimi aduna,

Disprezzasi dal mondo, se mancagli fortuna.

LUC.

Tale richiesta, amico, mi onora e mi consola;

Ma un prezioso acquisto dalle mie soglie invola.

Bello è l'udir cantarsi dal popolo Romano:

Viva Terenzio il prode, lo di Lucano.

Pur se ragione il chiede, se fia il negarlo ingiusto,

Son pronto il sacrifizio far al Senato Augusto.

LEL.

Tu pur del gran Senato sei fra' padri conscritti

A parte della gloria de' cittadini invitti.

Perdi un privato bene, se rendi il servo immune,

Ma l'hai moltiplicato col popolo in comune.

LUC.

Quel della patria nostra supera ogn'altro affetto.

Libero fia Terenzio: al pubblico il prometto.

LEL.

L'alta virtude i' lodo di superar te stesso;

Ma ancor non basta, amico, quel ch'hai di far promesso.

Schiava di Grecia hai teco: Creusa ella si chiama;

Seco fra' lacci al Tebro venne Terenzio, e l'ama;

E al lor signor comune, per grazia o per mercede,

In nodo a lui congiunta e libera la chiede.

LUC.

Troppo le mire estende uom ch'è fra' lacci ancora,

Poco non è, se ottiene la libertà che implora.

Per ostentar coperta qual libero la chioma,

Susciti in suo favore Lelio, Scipione e Roma;

Ma seco non presuma scioglier dai lacci miei

Schiava, che alle mie fiamme concessero gli dei.

Vegg'or perché rubella è al mio bel foco, e schiva:

Del cuor della mia preda è costui che mi priva.

Solo di libertade abbia Terenzio il dono;

A questo patto, amico, teco impegnato io sono.

Ma se in amor persiste a contrastarmi ingrato,

Non pensi a libertade, non pensi a cambiar stato.

Roma non mi comanda; Roma nel tetto mio

Il mio piacer rispetti. Son cittadino anch'io. (parte.)

 

 

 


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