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   TER. 
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   Desio di
  libertade, tenero dolce affetto 
  Mi pungono
  egualmente con pari lancia il petto; 
  Io peno fra
  due lacci, però non mi confondo, 
  Cose maggiori
  il tempo sa regalare al mondo. 
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   CRE. 
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   Ah Terenzio,
  disastri nuovi il destin minaccia: 
  Il signor
  nostro irato, bieco guardommi in faccia. 
  Hai tu svelato
  ad esso l'ardor ch'entrambi accese? 
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   TER. 
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   Non da me, ma
  da Lelio tutto l'arcano intese. 
  Svelar ciò si
  dovea; doveasi uscir di pena. 
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   CRE. 
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   Esser speriam
  disciolti dalla servil catena? 
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   TER. 
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   La libertà
  m'offerse, solo, da te lontano; 
  Ma chi da te
  mi toglie, m'offre i suoi doni invano. 
  Morirò, pria
  che teco non vivere, mio bene. 
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   CRE. 
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   Stelle! al
  cuor mio che t'ama, raddoppiansi le pene. 
  Lascia
  quest'infelice in braccio al suo destino; 
  Non perder
  per me sola l'onor di cittadino. 
  Terrò senza
  lagnarmi fra le ritorte il piede, 
  Bastami che a
  me serbi il tuo cuor, la tua fede. 
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   TER. 
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   Se basta a
  tua virtute, all'onor mio non basta. 
  Le nozze tue
  Lucano amante mi contrasta. 
  Lungi da te
  preveggo di perderti il periglio; 
  Fia teco star
  tra' lacci per or miglior consiglio. 
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   CRE. 
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   Spicca ne'
  detti tuoi la tenerezza estrema, 
  Ma d'un
  padrone acceso dubita l'alma, e trema. 
  S'ambi qui
  star dobbiamo, direi miglior partito 
  Far con segrete
  nozze Terenzio a me marito. 
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   TER. 
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   Cresca
  l'amore a segno che per dolor mi sveni, 
  Ma un sol
  pensier la brama moderi, spenga, o freni. 
  Pensa che i
  figli nati di schiavitù agli orrori, 
  Seguon lo
  sventurato destin dei genitori; 
  E debitor
  saremmo, per folli amori ardenti, 
  Dei lacci
  tramandati ai miseri innocenti. 
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   CRE. 
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   Difender noi
  potrebbe da ciò nobile affetto. 
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   TER. 
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   Vicino ad una
  sposa di ciò non mi prometto. 
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   CRE. 
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   Bella virtù
  c'insegni soffrir congiunti il foco. 
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   TER. 
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   Che tal virtù
  noi freni disgiunti non è poco; 
  Pensa se il
  casto nodo s'aggiunga a calde brame 
  Lungi talor
  dal cibo si tollera la fame, 
  Ma dopo lunga
  inedia, molto sofferta e molto, 
  Lasciar mensa
  imbandita non può chi non è stolto. 
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   CRE. 
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   Terenzio, in
  me perdona, prodotto dall'affetto, 
  Da tue
  ripulse acceso, un leggiero sospetto: 
  Livia, che di
  Lucano d'adozione è figlia, 
  Tenera troppo
  i' veggo fissare in te le ciglia; 
  Parla di te
  sovente, ti loda, e si consola 
  Qualor delle
  tue lodi sente formar parola. 
  In donna che
  superba fasto romano ostenta, 
  Lodar tanto
  uno schiavo il cuor non mi contenta. 
  Esser
  potrebbe, è vero, di giusto zelo ardore, 
  Ma da
  giustizia ancora può derivar l'amore. 
  E in caso tal
  Terenzio, cui servitute aggrava, 
  Potrebbe una
  Romana preferire a una schiava. 
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   TER. 
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   Tutto soffersi
  in pace udir da' labbri tuoi, 
  Per ispiar
  che pensi, che sospettar tu puoi. 
  Troppo,
  Creusa, offendi di me l'amor, lo zelo; 
  Amo te sola,
  e chiamo in testimonio il cielo. 
  Livia, del
  signor nostro figlia adottiva, è vana; 
  Pretende quel
  rispetto ch'esige una Romana. 
  Nemica non mi
  giova presso Lucano averla; 
  Soglio, per
  questo solo, studiar di compiacerla. 
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   CRE. 
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   Eccola. Vo' partire. 
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   TER. 
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   Resta, non dar sospetto. 
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   CRE. 
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   M'è noto il suo
  costume; nuove rampogne aspetto. 
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