Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Terenzio, poi Creusa.

 

TER.

Desio di libertade, tenero dolce affetto

Mi pungono egualmente con pari lancia il petto;

Io peno fra due lacci, però non mi confondo,

Cose maggiori il tempo sa regalare al mondo.

CRE.

Ah Terenzio, disastri nuovi il destin minaccia:

Il signor nostro irato, bieco guardommi in faccia.

Hai tu svelato ad esso l'ardor ch'entrambi accese?

TER.

Non da me, ma da Lelio tutto l'arcano intese.

Svelar ciò si dovea; doveasi uscir di pena.

CRE.

Esser speriam disciolti dalla servil catena?

TER.

La libertà m'offerse, solo, da te lontano;

Ma chi da te mi toglie, m'offre i suoi doni invano.

Morirò, pria che teco non vivere, mio bene.

CRE.

Stelle! al cuor mio che t'ama, raddoppiansi le pene.

Lascia quest'infelice in braccio al suo destino;

Non perder per me sola l'onor di cittadino.

Terrò senza lagnarmi fra le ritorte il piede,

Bastami che a me serbi il tuo cuor, la tua fede.

TER.

Se basta a tua virtute, all'onor mio non basta.

Le nozze tue Lucano amante mi contrasta.

Lungi da te preveggo di perderti il periglio;

Fia teco star tra' lacci per or miglior consiglio.

CRE.

Spicca ne' detti tuoi la tenerezza estrema,

Ma d'un padrone acceso dubita l'alma, e trema.

S'ambi qui star dobbiamo, direi miglior partito

Far con segrete nozze Terenzio a me marito.

TER.

Cresca l'amore a segno che per dolor mi sveni,

Ma un sol pensier la brama moderi, spenga, o freni.

Pensa che i figli nati di schiavitù agli orrori,

Seguon lo sventurato destin dei genitori;

E debitor saremmo, per folli amori ardenti,

Dei lacci tramandati ai miseri innocenti.

CRE.

Difender noi potrebbe da ciò nobile affetto.

TER.

Vicino ad una sposa di ciò non mi prometto.

CRE.

Bella virtù c'insegni soffrir congiunti il foco.

TER.

Che tal virtù noi freni disgiunti non è poco;

Pensa se il casto nodo s'aggiunga a calde brame

Lungi talor dal cibo si tollera la fame,

Ma dopo lunga inedia, molto sofferta e molto,

Lasciar mensa imbandita non può chi non è stolto.

CRE.

Terenzio, in me perdona, prodotto dall'affetto,

Da tue ripulse acceso, un leggiero sospetto:

Livia, che di Lucano d'adozione è figlia,

Tenera troppo i' veggo fissare in te le ciglia;

Parla di te sovente, ti loda, e si consola

Qualor delle tue lodi sente formar parola.

In donna che superba fasto romano ostenta,

Lodar tanto uno schiavo il cuor non mi contenta.

Esser potrebbe, è vero, di giusto zelo ardore,

Ma da giustizia ancora può derivar l'amore.

E in caso tal Terenzio, cui servitute aggrava,

Potrebbe una Romana preferire a una schiava.

TER.

Tutto soffersi in pace udir da' labbri tuoi,

Per ispiar che pensi, che sospettar tu puoi.

Troppo, Creusa, offendi di me l'amor, lo zelo;

Amo te sola, e chiamo in testimonio il cielo.

Livia, del signor nostro figlia adottiva, è vana;

Pretende quel rispetto ch'esige una Romana.

Nemica non mi giova presso Lucano averla;

Soglio, per questo solo, studiar di compiacerla.

CRE.

Eccola. Vo' partire.

TER.

Resta, non dar sospetto.

CRE.

M'è noto il suo costume; nuove rampogne aspetto.

 

 

 


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