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   LIV. 
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   (Partì alfine l'ardita). 
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   TER. 
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   (Scoprir vo' il di lei cuore). (da sé.) 
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   LIV. 
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   Scarso,
  Terenzio, rendi a tua virtute onore. 
  Trattar con
  una schiava, d'ogni rispetto indegna, 
  A un uom del
  tuo valore prudenza non insegna. 
  Tu mostri co'
  tuoi carmi in che il dover consista, 
  Ma poco
  dall'esempio chi ti conosce acquista. 
  È ver, te pur
  fra' lacci sorte guidò proterva, 
  Ma l'alma d'un
  uom dotto comanda, e non è serva. 
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   TER. 
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   Trattar con i
  più grandi, trattar con i più abietti, 
  Dee quel che
  cerca al mondo i comici soggetti: 
  Però dalla
  tua schiava, che mostra un cuor gentile, 
  Apprendo gli
  argomenti d'un animo non vile. 
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   LIV. 
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   Non può
  nutrir virtudi Greca venduta in seno, 
  Sol d'eroine
  abbonda il romuleo terreno. 
  Qui Pallade e
  Minerva hanno i dovuti onori, 
  Qui Venere
  dispensa le grazie ed i favori. 
  Esser può
  saggia altrove, può splender come stella, 
  Sarà donna
  straniera men colta e meno bella. 
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   TER. 
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   Perdonami... 
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   LIV. 
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   Contrasta
  meco uno schiavo invano. 
  Di Roma non
  conosce i pregi un Africano. 
  Il tuo saper
  t'innalza, ma il basso in te prevale, 
  De' miseri
  stranieri difetto universale. 
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   TER. 
   | 
  
   Faccian del
  Tebro i numi, che al ver mia mente salga 
  E quel che ne'
  Romani prevale, in me prevalga. 
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   LIV. 
   | 
  
   Principia dalla
  stima maggior del nostro sesso. 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Per te
  dell'eroine stima maggior professo. 
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   LIV. 
   | 
  
   Per me? (dolcemente.) 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Tuo merto il chiede. 
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   LIV. 
   | 
  
   Per me le donne apprezzi? 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Lo mertan tue
  virtudi, l'esigono i tuoi vezzi. 
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   LIV. 
   | 
  
   Olà. Tale a
  Romana schiavo favella ardito? 
  S'altri che te
  il facesse, non andrebbe impunito. 
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   TER. 
   | 
  
   Se per lodar
  tuoi pregi ingiuria a te si reca, 
  Per me fia men
  periglio trattar la schiava greca. 
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   LIV. 
   | 
  
   No, dal tuo
  cuor quel nome porre tu devi in bando. 
  Sfuggir devi
  Creusa; lo voglio e lo comando. 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Son vil, se
  per le schiave s'abbassa il mio pensiero; 
  Son, se a
  Romane aspiro, prosontuoso altero. 
  Onde se fra
  gli estremi mezzo trovar non basto, 
  Dovrò, sino
  ch'io vivo, starmi solingo e casto. 
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  | 
   LIV. 
   | 
  
   Il bel de'
  tuoi pensieri, il vezzo de' tuoi carmi, 
  Han l'arte di
  piacere, han forza d'obbligarmi. 
  A te penso, o
  Terenzio, più che non credi, e invano 
  Pensar non mi
  lusingo, in favor di un estrano. 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Degno di
  grazia tanta non son io, lo confesso; 
  Né so se
  ringraziarti nemmen mi sia concesso. 
  Non so se
  alla clemenza, di cui tu mi fai degno, 
  Possa il
  beneficato dar di rispetto un segno. 
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   LIV. 
   | 
  
   Non sol lo
  puoi, ma il devi. 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Ecceder non vorrei 
  Coi termini il
  confine prescritto ai dover miei. 
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   LIV. 
   | 
  
   Un comico
  poeta, un peregrino ingegno, 
  Che di
  pensier vezzosi, che di concetti è pregno, 
  Sa quel che a
  lui s'aspetta, sa quel che più conviene 
  A donna che si
  spiega vegliar per il suo bene. 
   | 
 
 
  | 
   TER. 
   | 
  
   A donna che
  vegliasse per il mio ben soltanto, 
  E a me non
  opponesse dell'eroine il vanto, 
  Termini
  convenienti direi del mio rispetto. 
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   LIV. 
   | 
  
   Di rispetto soltanto? 
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   TER. 
   | 
  
   E termini d'affetto. 
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   LIV. 
   | 
  
   Fammi sentir,
  Terenzio, prova del dolce stile, 
  Che grato usar
  sapresti con femmina più vile. 
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   TER. 
   | 
  
   Donna, direi,
  che in seno tanta pietate accoglie, 
  Grato secondi
  il cielo in mio favor tue voglie. 
  Alto di me
  disponi, dispon di questo cuore: 
  T'offro, qual
  più ti piace, la servitù o l'amore. 
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   LIV. 
   | 
  
   A chi parli, Terenzio? 
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  | 
   TER. 
   | 
  
   Parlar
  così dovrei 
  A donna che
  gradire potesse i sensi miei. 
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   LIV. 
   | 
  
   Teco non sono
  austera, non son di grazie parca; 
  Stimerei di
  te meno un principe, un monarca. 
  Roma sprezzar
  c'insegna chi di lei non è figlio; 
  Ma rispettare
  il merto è nobile consiglio. 
  A te che per
  virtute resero i dei felice, 
  Permettersi può
  quello che a uno stranier non lice. 
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   TER. 
   | 
  
   Dunque, se
  m'avvaloro per tua bontade estrema, 
  Se più il tuo
  servo onori di scettro e diadema, 
  Lascia ch'io
  sfoghi in parte il giubilo che pruovo... 
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   LIV. 
   | 
  
   (Si rivolta
  altrove, in atto di arrossire.) 
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   TER. 
   | 
  
   (Costei
  m'offre alle scene un carattere nuovo). (da sé.) 
  Lascia che
  dir ti possa, ch'hanno formato i numi 
  Per far altrui
  felice quel volto e quei be' lumi!... 
   | 
 
 
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   LIV. 
   | 
  
   Basta così. 
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   TER. 
   | 
  
   M'accheto. 
   | 
 
 
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   LIV. 
   | 
  
   Parti. 
   | 
 
 
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   TER. 
   | 
  
   Obbedisco. 
   | 
 
 
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   LIV. 
   | 
  
   E bada 
  Che il
  temerario piede a Creusa non vada. 
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   TER. 
   | 
  
   Questo piè,
  questo cuore, e tutti i sensi miei 
  In traccia
  andranno ognora... se potessi, il direi. 
  Celo
  nell'alma a forza rio dolor che m'aggrava. 
  Livia, tu non m'intendi. 
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   LIV. 
   | 
  
   Sì che t'intendo. 
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   TER. 
   | 
  
   Brava. 
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