DAM.
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Lisca, onor delle mense, quanto ch'io t'amo il sai;
Dar cibo a tutte l'ore a te non ricusai.
Solo alle cene è in uso chiamarsi i convitati;
Da pochi sono in Roma i pranzi praticati.
Mangiar tre volte al giorno, e quattro, se abbisogna,
S'ammette nella plebe, nei grandi è una vergogna.
Ma il tuo stomaco avvezzo a digerir di volo,
Dal mattino alla sera suol fare un pasto solo.
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LIS.
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Se per rimproverarmi rammenti ciò, Damone,
Del tuo nulla mi dai, la spesa è del padrone.
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DAM.
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È ver, ma son quell'io... Basta, non vo' dir questo.
Ti sono amico, il dissi, lo dico e lo protesto,
E se nulla poss'io far a te che ti piaccia,
Da te cosa a me grata è giusto che si faccia.
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LIS.
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Impiegami, Damone, parla, domanda, imponi.
Parla, eccellente cuoco d'anitre e di pavoni.
Per te che non farei, che far da me si possa?
Amico fino all'ara, e anche fino alla fossa.
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DAM.
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Terenzio, qual io sono, è schiavo al signor mio;
Né vale il dir ch'egli abbia cosa che non ho io,
Ché, fuori d'una sola, di cui 'l destin m'ha privo,
Penso com'egli pensa; com'egli vive, io vivo.
Africa ad ambedue diè povero il natale;
Esser dovrebbe in Roma sorte ad entrambi eguale:
Ma a lui si fan gli onori, per lui s'han de' riguardi,
Ed io non trovo in Roma un cane che mi guardi.
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LIS.
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Lo sai perché?
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DAM.
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Lo vedo. Perché il padron destina
Alle scene Terenzio, Damone alla cucina.
Ma d'ingiustizia tale mi lagno, e vo' lagnarmi,
Fino che 'l giorno arrivi ch'io possa vendicarmi.
A te, che amico sei, ch'hai cervel buono e sodo,
Chiedo che a me consigli della vendetta il modo.
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LIS.
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Sì, volentier; darotti facil consiglio e certo,
Che sopra al tuo rivale salir farà il tuo merto.
Mirar precipitati vuoi tutti i pregi sui?
Studiati una commedia formar meglio di lui.
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DAM.
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N'ho voglia; lo farei, ma non ne so principio.
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LIS.
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Poeta divenire può tosto ogni mancipio.
T'insegnerò.
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DAM.
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Lo voglia Vulcan, Cerere e
Bacco.
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LIS.
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Dai numi di cucina far devi ogni distacco:
Hansi a invocar le Muse, Minerva e 'l biondo Apollo;
E di padella in vece, porsi la cetra al collo.
Odimi. Se prometti a me dar due fagiani,
Opra passar per tua farò delle mie mani.
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DAM.
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Raro il fagiano è in Roma, che in Grecia ha suo ricetto;
Ma se l'impegno adempi, anch'io te li prometto.
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LIS.
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Perché schernito resti Terenzio nel cimento,
Della commedia nostra sia Plauto l'argomento.
Veggasi nel confronto questo e poi quel dipinto;
Terenzio ha i suoi nemici; diran ch'ei resta vinto;
E tua sarà la gloria d'averlo scorbacchiato.
Terenzio fia deriso, Damone vendicato.
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DAM.
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Bene, bene, ma bene, duemila volte bene.
Lisca, i fagian son tuoi... Ma un dubbio ora mi viene:
Se a me conto si chiede chi Plauto fosse, o quale,
Non so s'uomo sia stato, o bestia irrazionale.
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LIS.
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Lume ti do che basta: Plauto nell'Umbria nacque,
Fallito mercatante, tristo in miseria giacque,
E tanto in poche lune l'oppresse il rio destino,
Che a raggirar s'indusse la macina al mulino.
Negli ozi lacrimosi, per quel che a noi si dice,
Diè a immaginar commedie principio l'infelice;
E queste indi ridotte al novero di venti,
Tornaronlo in fortuna, produssero portenti.
Avea stil sì purgato, onde le Muse anch'esse
Udrebbonsi, parlando, a dir le cose istesse.
Giustizia anche a' dì nostri gli rendono i sapienti,
Di Plauto commendando i semplici argomenti,
E l'arte, onde soleva dipingere i costumi,
Il mondo conoscendo, da quel prendendo i lumi.
Soggetto di commedia non dà la di lui vita,
Ma favole sognando cosa farem compita;
Basta che nel confronto penda il giudizio almeno,
Di critica l'applauso dal volgo verrà pieno.
Bastan tre o quattro soli a screditar lo schiavo,
A far che il popol gridi: bravo, Damone, bravo.
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DAM.
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Tante da te ne intesi; io ne dirò una sola:
Di quanto a me dicesti non intendo parola.
Studia di mia vendetta modi men duri e strani,
Se il premio vuoi che cerchi aver dalle mie mani.
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LIS.
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Farò... Tu che faresti?
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DAM.
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Farei, se col padrone
Avessi confidenza, parecchie cose buone.
Gli direi, per esempio... sì, questo dir potrei,
E prove a sostenerlo, e testimoni avrei
Passan segreti amori fra Terenzio...
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LIS.
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E Creusa?...
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DAM.
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Passan segreti amor fra Terenzio...
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LIS.
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E Barsina?
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DAM.
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No, che crepar tu possa innanzi domattina:
Fra lui e l'adottiva figlia del suo signore.
Oh vedi, se uno schiavo gli reca un bell'onore!
Se il sa Lucan, vedrassi Terenzio alla catena,
Avrà di mille verghe i colpi sulla schiena;
Ché in Roma è minor colpa render un uomo esangue,
Che d'una cittadina bruttar l'illustre sangue.
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LIS.
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Questo farò. Svelato da me sarà l'arcano;
Ti è noto, se mi crede, se ascoltami Lucano.
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DAM.
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Pera Terenzio, e cada in odio dei Romani.
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LIS.
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Abbia Damon l'intento, e Lisca i due fagiani.
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