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LUC. |
Terenzio se di Livia, se di Creusa è amante, Amerà in una il grado, nell'altra il bel sembiante; Della più vil non teme mostrar acceso il cuore; Dell'altra non ardisce svelar l'occulto ardore. Ma se sperar potesse aver nobil donzella, Schiava non ardirebbe di preferire a quella. E molto meno ardito esser può a quest'eccesso, Di contrastar gli affetti al suo signore istesso. Tal mi lusinga il cuore, tal la virtù m'affida, Che all'opre di Terenzio fu ognor regola e guida. |
(Creusa a me s'asconde. La misera è in periglio. Dissimular la pena parmi il miglior consiglio). (da sé.) |
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LUC. |
Terenzio, in tal momento ti rechi al mio cospetto, Che dei pensieri miei tu stesso eri l'oggetto. |
LUC. |
Fra noi un cotal nome mandar puossi in oblio: Servo non più, liberto sarai per amor mio. Finor di tue fatiche a te donato ho il frutto, Son tuoi gli ultimi acquisti, puoi disporre di tutto: |
Signor, dal dolce peso di tante grazie oppresso, Poco è ch'io ti offerisca la vita, il sangue istesso; |
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LUC. |
Pria che all'occaso giunga di sì bel giorno il sole, Fra il novero sarai della romulea prole. Il nome di Terenzio, da me portato in prima, Servo a te diedi ancora, in segno di mia stima. Ora mi scordo i lacci, scordomi il grado antico, Anticipo a chiamarti figlio, liberto, amico. Meco da questo punto tu pur cambia lo stile; Meno ti renda il grado, a cui t'inalzo, umile. A me svela il tuo cuore, confida i tuoi pensieri; I labbri incoraggiti mi parlino sinceri. Questa mercé ti chiedo a mia beneficenza: Fammi, se mi sei grato, del cuor la confidenza. |
(Come svelar l'affetto che all'amor suo contrasta?) (da sé.) |
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LUC. |
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Signor, di tue richieste veggo, conosco il fine; Del giusto i miei desiri eccedono il confine. Ravviso il contumace amor che m'arde in petto; Reprimerlo son pronto, di spegnerlo prometto. |
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LUC. |
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Vorrei, pria di spiacerti, soffrir doppia catena; |
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LUC. |
Che ami lo so. Svelato fummi di te l'affetto, Ma dubbio ancor mi resta dell'amor tuo l'oggetto. |
Cieco è Amor. La natura frale al desio s'arrende; L'uso, il comodo, il tempo l'alme più schive accende. L'occhio principia, e il cuore trae seco, a poco a poco, Da piccola scintilla prodotto il maggior foco. Perdon, se nel mirare dapprima il vago oggetto, Qual si dovea non ebbi a te, signor, rispetto. Se il grado mio scordato, in quel fatal momento, M'arresi al dolce incanto che forma il mio tormento; Se di colei, che merta del mondo aver l'impero, Questo mio cuor s'accese miserabile, altero. |
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LUC. |
(Par che di Livia parli). (da sé.) Se tanto ho a te concesso, Poss'anco ciò donarti, che amo quanto me stesso: |
LUC. |
(Al maggior de' miei doni stupisce e non risponde). (da sé.) |
Dunque, signor... |
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LUC. |
Sì, amico, non ti avvilir, fa cuore. La mia pietà vuol lieto mirarti anche in amore. Più di Ciprigna il figlio il cuor non ti martelli, |
LUC. |
Questa è colei, Terenzio, questa è colei che gravi Lacci impose a quest'alma, ch'ha del mio cuor le chiavi. So che tu pur la stimi, so che tu pur l'amasti: Buon per te, che per tempo fiamme nel cuor cangiasti; |
LUC. |
Olà, perché t'arresti? (verso la scena, da dove viene Creusa.) |