Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO QUARTO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Lelio con quattro servi, ciascheduno de' quali porta una cassetta nelle mani; e di suddetti.

 

LEL.

Ecco, Terenzio, amico, ecco di Roma il dono:

Nummi ottomila in quattro parti divisi sono.

Questi non tuoi per legge, schiavo, ancor non Romano,

Ma tuoi per il tuo merto, per favor di Lucano.

Usane a tuo talento; libero ne disponi,

Qual uom nato agli onori fra libere nazioni.

Odi però il consiglio che a te porge chi t'ama:

Libero fra' Quiriti il tuo signor te brama,

Però de' cittadini chi vuol godere il pregio,

Deve di pingue censo vantar ne' lustri il fregio.

Or questi che a te reco, uniti ad altri beni,

Acquistino a Terenzio le cariche e i terreni;

E in ogni lustro poi, che d'un quinquennio è il giro,

Salir faccia il tuo nome dove gli eroi saliro.

TER.

D'onor, di gloria vago son io, più che di spoglie.

Ite a deporre il peso, amici, in quelle soglie. (ai quattro servi, i quali entrano in una stanza.)

Grato son di tal dono al popolo Romano,

Grato all'amico Lelio, gratissimo a Lucano.

Far di quell'oro in breve uso cotal m'impegno,

Che sia grato agli dei, che sia di virtù degno.

LEL.

Torno agli edili nostri, torno al pretor di Roma,

Ch'oggi a te dee la verga impor sull'aurea chioma.

Nel renderti liberto (non giungati improvviso)

T'udrai con lieve mano battere il tergo e il viso;

Libar la sacra tazza dovrai del tuo signore,

Soffrir ne' loro uffizi lo scriba ed il littore;

Comune ai cittadini avrai la doppia vesta.

Tutti vedrai gli amici, tutti i Romani in festa. (parte coi servi.)

 

 

 


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