(Tornando al posto di prima.)
Almo pretor di Roma, (al Pretore.) padre eccelso,
conscritto, (a Lucano.)
Gente illustre togata, popol romuleo invitto,
Dono è sublime, illustre, della pietà di Roma
Poter de' padri in faccia coprir libera chioma.
Volgo le luci in giro, e veggo a mio rossore
Fra Roma e fra Lucano gara per me d'amore:
Oh, fosse a me concessa facondia che a' dì nostri
Odesi al Roman foro dagli orator sui rostri,
Da cui, contro i nemici nell'animar le squadre,
Demostene fu vinto, dell'eloquenza il padre.
Ma se a comico vate sono i topici ignoti,
Da me, dell'arte invece, Roma gradisca i voti.
Serbino i numi eterno al popolo latino
Il don riconosciuto da Bruto e Collatino,
Dono di libertade, per più di trecent'anni
Al popolo concesso, scacciati i re tiranni.
Delle nazion nemiche, de' barbari l'orgoglio,
Veggasi fra catene deposto al Campidoglio;
E 'l teschio rinvenuto di quello alle pendici,
Di sangue sta presagio, ma sangue de' nemici.
Deh, patria mia, perdona. Chi veste lazia tunica,
A te non può felice pregar la guerra punica;
Facciano di Cartago, faccian del Tebro i numi,
(Che alfin sono gli stessi culti in vari costumi)
Che dell'aquile invitte Africa non sia preda,
Ma inchinisi al destino, Roma rispetti, e ceda.
Capo dell'orbe intero, che pesi, gradi e onori
Parti, disponi, alterni fra consoli e pretori,
Tribuni, magistrati, padri, edili, censori,
Decurioni, maestri, comizi e dittatori;
Tuoi cittadin concordi, diretti ad un sol polo,
Negli animi diversi serbino un pensier solo.
Ogni passion privata, vinta nel seno e doma,
Fondino i beni loro nella gloria di Roma.
Godi perpetua pace, regna del Tebro in riva,
Fin là dove il tuo fato scritto nel cielo arriva;
E se dai numi al Lazio fosse prescritto il fine,
La libertà di Roma passi ad altro confine,
Dove con gloria pari, con pari legge alterna,
Abbia l'Italia onore di Repubblica eterna.
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