Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO QUINTO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

Terenzio, Creusa ed i suddetti.

 

TER.

Ecco, signor, miei beni, de' miei sudori il frutto.

Quanto a me tu donasti, ecco in Creusa è tutto.

LUC.

Come?

TER.

Il vecchio infelice che a te, giusta il contratto,

Venuto è di Creusa a chiedere il riscatto,

Perduto ogni suo bene nel mar tra' flutti rei,

Il prezzo convenuto ebbe dagli ori miei:

Ai duemila sesterzi quel che avanzar mi puote,

In dono alla donzella died'io per la sua dote.

Pietà dell'infelice sentii destarmi in cuore;

Alla pietate aggiungi, non so negarlo, amore.

Ma nel seguir le leggi del cieco Dio bendato,

Animo in me non ebbi di divenirti ingrato.

So che Creusa adori; a te si chiede invano.

Dispon, s'ella il consente, di lei, della sua mano.

Sciolta per me Creusa della servile insegna,

Merto maggiore acquista, sarà di te più degna.

Costar mi può la vitario distaccamento,

Di te, di Roma i doni mi recano tormento;

Ché se la libertade dal fianco suo mi toglie,

La servitù più cara godrei fra le tue soglie.

Figura in me una colpa. Torni il liberto ingrato

A norma delle leggi nel pristino suo stato;

Ma pensa che la colpa, che tu mi trovi in cuore,

Sarà di troppa fede, sarà di troppo amore.

LIV.

Odi, signor, l'indegno, odi lo schiavo audace.

Miralo se in te merta cuor di pietà ferace.

Torni alla sua catena chi de' tuoi doni abusa,

A' tuoi voler risponda lieta o mesta Creusa.

Le nozze stabilite per tuo volere espresso

Tra Fabio e tra colei s'hanno a compire adesso.

Fabio, sei pronto?

FAB.

Il sono.

TER.

(Qual novello accidente?) (da sé.)

DAM.

(Avrà sportula doppia colla sposa il cliente). (da sé.)

LUC.

Livia, tu da me apprendi, apprenda il Lazio istesso

Da Lucan la virtude di superar se stesso.

Ama Terenzio, ed offre l'amore in sacrifizio:

Non sia men generoso d'un liberto un patrizio.

E Fabio, a cui interesse parla in cuor, non amore,

Apprenda al Tebro nostro a far men disonore.

Staccar da me Creusa è un trarmi il cuor dal petto,

Ma peggio è averla meco con rossor, con dispetto.

Mille gli esempi al mondo della Romana istoria

ad altrui norma, narransi a nostra gloria.

Sparse per questa Orazio della germana il sangue,

Voragine profonda Curzio ha per questo, esangue

Di Collatin la sposa s'aprio col ferro il seno;

Quando di duol morissi, di lor non farei meno.

Libero per mio dono Terenzio abbia in isposa

Costei, libera fatta da un'alma generosa.

Dote a lei fe' lo sposo col don de' beni sui;

Con parte de' miei beni censo farassi a lui.

Vivete ambo felici, in dolce nodo uniti;

Abbia virtute il premio, a gloria de' Quiriti.

Africa e Grecia vostre apprendano che in noi

Germoglia in ogni petto il seme degli eroi;

Che a noi render non cale solo i nemici oppressi,

Ma vincere sappiamo anche il cuor di noi stessi.

CRE.

Fortunato amor mio!

TER.

Bella di cuor pietade!

LIV.

Itene, fortunati, in barbare contrade.

Ditelo per ischerno ai popoli nemici:

La gloria de' Romani è l'essere infelici.

Vanta Atene gli atleti nell'olimpico agone;

Qui vantasi l'orgoglio di vincer la passione.

Il pugno, il cesto, il disco altrui servon di giuoco;

Qui l'anime diletta ferro, veleno e foco.

Ma se di gloria carche van l'anime latine,

E vergini e matrone son femmine eroine,

Noi pur della virtute sappiamo usar i modi,

Odiar d'Africa l'arte, odiar le greche frodi;

Sappiam nostre sventure mirar con ciglio lieto.

(Andiam, cuore infelice, a fremere in segreto). (da sé, indi parte.)

 

 

 


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