Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Critone ed i suddetti.

 

LUC.

M'ingannasti, Terenzio?

TER.

Non t'ingannai, se meco

Venne a chieder la schiava col tuo contratto un Greco.

Più del mercante estinto avea ragion sul patto

L'avolo, che il contante offriati del riscatto;

Ma l'amor tuo sapendo.. deh mi perdona... in parte

Mi suggerì il ripiego al cuor la comic'arte:

Quell'arte onde più volte lodasti in me l'ingegno,

Di sostenere in scena qualche simile impegno.

Signore, alla catena torno, se reo in ciò sono...

LUC.

No, la colpa felice approvo, e ti perdono.

DAM.

Signor, pronta è la cena. (a Lucano.)

LUC.

Ite contenti e lieti.

DAM.

(Si passano gran cose ai comici poeti!) (da sé.)

LUC.

Roma lasciar destini? (a Terenzio.)

TER.

Andrò, se tu 'l consenti,

A raccor di Menandro i sparsi monumenti;

Cento commedie ha scritto l'autor greco divino,

Degne d'esser tradotte al popolo latino.

Salvo s'io torno in Roma, qua i dolci carmi io reco,

Quando perir dovessi, in mar periran meco.

LUC.

Tolgano i dei gli auguri. Vanne, ritorna, e vivi.

Suda per la tua fama, medita il mondo, e scrivi.

Mira, la tua virtute qual ti ha acquistato onore;

Spera che il tempo e l'uso rendalo a te maggiore.

TER.

Fine han qui le vicende di Comico Poeta;

Peripezia sospesa, catastrofe più lieta.

Terenzio a' suoi Romani dir soleva: Applaudite.

A' nostri ascoltatori diciam noi: Compatite.

 

Fine della Commedia


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