Carlo Goldoni
L'uomo di mondo

ATTO PRIMO

SCENA DODICESIMA

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SCENA DODICESIMA

 

Ottavio, poi Lucindo dalla sua casa, poi Momolo dalla locanda.

 

OTT. Anche di più? Serrarmi la finestra in faccia? Non son chi sono, se non mi vendico. (strepitando)

LUC. Quante volte vi si ha da dire, signore, che non vi accostiate alla nostra casa?

OTT. Né voi, né chi che sia me lo può impedire.

LUC. Troverò persone che vi faranno desistere.

OTT. Chi saranno quelli che avranno tanto potere? Il vostro Momolo forse? Non lo stimo né lui, né voi, né dieci della vostra sorte.

LUC. Questo è un parlare da quell'insolente che siete.

OTT. A me, temerario? (cacciando la spada)

LUC. Così si tratta? (Si pone in difesa colla spada. Si tirano dei colpi)

MOM. (Esce dalla locanda) Alto, alto, fermève; tolè su el fodro, che i cani no ghe pissa drento.

OTT. Per causa vostra, signore. (a Momolo, con isdegno)

LUC. Egli ha perduto il rispetto a voi ed a tutta la nostra casa. (a Momolo)

MOM. Animo, digo, in semola quelle cantinele24.

OTT. Non crediate già di mettermi in soggezione.

MOM. Voleu fenirla, o voleu che ve daga una sleppa25? (ad Ottavio)

OTT. A me? Se non fosse viltà ferire un uomo disarmato, v'insegnerei a parlare. Provvedetevi di una spada. (a Momolo)

MOM. Eh, sangue de diana. Lassè veder. (leva la spada a Lucindo) A vu sior bravazzo. (Si tirano con Ottavio, e Momolo lo disarma )

OTT. Ah, maledetta fortuna!

MOM. Tolè, sior, la vostra spada; andè da vostra sorella, e diseghe da parte mia, che se sto sior averà più ardir de vegnirla a insolentar, ghe lo inchioderò su la porta. (a Lucindo) E vu tolè el vostro speo26; e andè a imparar avanti de metterve coi cortesani della mia sorte. (ad Ottavio, dandogli la sua spada)

OTT. (Se non mi vendico, non son chi sono). (da sé, e parte)

LUC. Se non venivate voi, forse forse l'avrei ucciso.

MOM. Eh, compare, se no vegniva mi, el ve inspeava come un quaggiotto.

LUC. Voi mi credete di poco spirito, e non lo sono.

MOM. Lassemo andar ste malinconie. Diseme: cossa fa siora Eleonora? Stala ben?

LUC. Starebbe bene, se non sospirasse per voi.

MOM. Me despiase che me disè sta cossa. Ma, amigo, savè che omo che son; me piase gòder el mondo.

LUC. Basta, io non voglio entrarvi più di così; ci pensi lei.

MOM. Giusto cussì, lassemo correr. Vegnimo a un altro proposito. Me xe sta dito, che andè in casa de una certa Smeraldina lavandera. Xela la veritae?

LUC. Io? non la conosco nemmeno. (Come diavolo lo ha saputo?) (da sé)

MOM. Co no xe vero, gh'ho gusto. E se mai fosse vero, sappiè che in quella casa ghe pratico mi, e dove che vago mi, no voggio che ghe vaga nissun. Ve serva de avviso, e no digo altro. Saludè siora Leonora. (parte)

LUC. Ci vado e ci vorrei andare da Smeraldina. Momolo mi un poco di soggezione. Ma cosa sarà finalmente? Proverò di andarvi nelle ore ch'ei non ci va; quella giovane mi vuol bene; non spendo niente, e non la voglio perdere, se posso far a meno. (entra in casa)

 

 

 





p. -
24 Che ponga la spada nella crusca, per ischerno.



25 Schiaffo.



26 Spiedo, per ischerno.



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