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FLOR. Signor Ottavio, vi riverisco.
FLOR. Voi mi guardate assai bruscamente.
OTT. Per causa vostra ho perduto stamane l'osso del collo.
OTT. Sì, per causa vostra. Io son così; quando giuoco con soggezione, perdo sicuramente.
FLOR. Compatitemi, non ho preteso di mettervi in soggezione. Se me l'aveste avvisato prima, sarei partito.
OTT. Perché non andarvene, quando ve l'ho detto?
FLOR. Pochi momenti mi son di poi trattenuto.
OTT. Basta, è fatta; convien pensare al rimedio.
FLOR. Caro Ottavio, possibile che non vogliate una volta aprir gli occhi, e tralasciar di giocare? Il cielo vi ha dato uno stato comodo da poter viver bene nel vostro grado. Che volete di più? Il giuoco è per i disperati. Il giuoco ha la sua origine o dall'avarizia, o dall'ambizione. Ravvedetevi una volta, e amate meglio la vostra quiete, la vostra salute, e la vostra riputazione.
OTT. Sì, lo farò. Lascierò il giuoco sicuramente.
FLOR. Se così farete, tutti gli amici vostri con voi si consoleranno, ed io più degli altri; io che, oltre il vincolo dell'amicizia, deggio avere con voi quello ancora della parentela. Mia sorella sarà vostra sposa. Non vi sarà che dire sopra di ciò. Scusatemi, se trasportato dalla collera questa mattina...
OTT. Niente, amico, niente, cognato mio. Vi compatisco. So che mi amate, e che per zelo vi riscaldate. Per l'avvenire sarà finita; ma convien rimediare ai disordini, ne' quali sono caduto.
FLOR. Quali sono i disordini che vi dan peso?
OTT. In confidenza. Non ho denari, e sino che non mi giungono delle rimesse di casa mia, non so come fare a sussistere.
FLOR. Non saprei... Se la mia scarsa tavola non vi dispiace, siete padrone di servirvene finché volete.
OTT. Voi siete ospite del signor Celio.
FLOR. Il signor Celio mi favorisce il quartiere. La tavola la faccio io.
OTT. Non è la tavola che mi dia pena. Le mie angustie sono maggiori. Ho de' debiti, e ho da pensare a pagarli.
OTT. Debiti che mi conviene pagare.
FLOR. Caro amico, se aveste badato alle mie parole...
OTT. Ora non è più tempo di suggerimenti o di correzioni. Ho bisogno d'aiuto; e voi, se mi siete amico, riparate la mia riputazione, soccorretemi nelle mie angustie.
FLOR. I debiti vostri a quanto ascenderanno?
FLOR. La somma non è indifferente. Mi dispiace non potervi servire.
OTT. Non mi darete ad intendere di non potere, dite piuttosto, che non volete. Diffidate forse di me?
FLOR. No, ma sono anch'io lontano di casa mia. Questa somma non è in mio potere.
OTT. Mi servirebbono anche dugento.
FLOR. Sì, anche cinquanta sarebbero il caso vostro, per rigiocare colla speranza di vincere.
OTT. Il vostro zelo, compatitemi, sente assaissimo della pedanteria.
FLOR. E il vostro animo ha un po' troppo della doppiezza.
FLOR. Fate che per tale vi dichiarino le vostre azioni.
OTT. Intacchereste voi di poco onorate le azioni mie?
FLOR. Non si fanno debiti per giocare.
OTT. Se ho de' debiti, li pagherò.
FLOR. Farete il vostro dovere.
OTT. Non ho bisogno per farlo dei consigli vostri.
FLOR. Né io m'affaticherò più per darveli inutilmente.
OTT. Un amico che affetta di consigliarmi, e nega poi di soccorrermi, lo stimo poco.
FLOR. Né io fo grande stima d'un uomo, che per i suoi vizi non ha riguardo ad incomodare gli amici.
OTT. Signor Florindo, voi vi avanzate troppo.
FLOR. Per non eccedere soverchiamente con voi, mi asterrò di trattarvi.
OTT. Infatti, per trattar bene coi galantuomini, avreste bisogno d'avere imparato qualche cosa di più.
FLOR. Coi galantuomini so trattare; con voi può essere ch'io non lo sappia.
OTT. Chi sono io?
FLOR. Il signor Ottavio Aretusi.
FLOR. Che questa sarà l'ultima volta che parlo con voi.
OTT. Perderò poco a perdere un amico insolente.
FLOR. Ed io guadagnerò assai coll'allontanarmi da un temerario.
OTT. Per rendere più sicuro il nostro allontanamento, vi vuol la morte d'uno di noi. (mette mano alla spada)
FLOR. Questo è il fine dei disperati. (fa lo stesso, e si battono)