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CLAR. Gran carestia fa della sua persona il signor Pantalone. Non si vede mai.
PANT. (Adesso la me minchiona). (da sé) Nevvero, patrona? Xe cent'anni che no se vedemo. Quanti minuti xe passai da sta mattina a stassera?
CLAR. Quando si ha della premura, le ore paiono secoli.
PANT. (E tocca via). (da sé) E per questo anca mi ziro e reziro come l'ave intorno al miel. (Botta de remando). (da sé)
FLA. Sarete venuto, signor Pantalone, per fare una visita alla signora Clarice.
PANT. Se gh'ho da dir la verità...
FLA. Spiacemi che l'abbiate ritrovata qui col disagio della mia compagnia; ma mi ritirerò per non disturbarvi.
CLAR. (Ora ci ho gusto). (da sé)
PANT. Anzi, patrona, voleva dirghe che son qua per parlar con ella.
FLA. Eh no, signore; ci conosciamo.
PANT. (Siestu malignaza! Anca questa la finze de esser zelosa. Le me tol per man, come va, ste patrone; ma no le ha da far con un orbo). (da sé)
CLAR. Signor Pantalone, se avete de' segreti colla signora Flaminia, comodatevi, io partirò.
PANT. La me vol privar delle so grazie! La me vol lassar cussì presto?
CLAR. Quando poi la mia presenza non vi dia noia, resterò per compiacervi.
PANT. La me consola, la me rallegra, la me fa respirar.
CLAR. (Il vecchio si scalda). (da sé)
PANT. (Le pago coll'istessa monea). (da sé)
FLA. Orsù, signori miei, io non ho da essere testimonio de' vostri vezzi.
PANT. Son qua per ella con tutto el cuor. (a Flaminia)
FLA. Il vostro cuore è impegnato.
PANT. Gh'ala nissuna premura per el mio cuor?
FLA. Corme potete voi dire d'essere qui venuto per me?
PANT. Ghe dirò. Ho trovà so sior fradello, el m'ha dito certe cosse, certe parole... che no le capisso ben.
FLA. A mio fratello voi non dovete badare.
CLAR. Che cosa vi ha detto il fratello della signora Flaminia?
PANT. No gh'ho suggizion a dirlo. El m'ha dito cussì...
FLA. Signore, mi maraviglio di voi, che vogliate dire in pubblico ciò che mio fratello vi avrà detto in segreto.
PANT. No la xe cossa che no se possa dir...
FLA. Tant'è, voi non l'avete da dire.
CLAR. (Vi è qualche mistero assolutamente). (da sé)
PANT. Sala ella cossa che el me pol aver dito? (a Flaminia)
PANT. Cossa ghe par su quel proposito che la s'immagina?
PANT. Vorla che diga come l'intendo?
PANT. Intendo, vedo e capisso che i se tol spasso de mi.
PANT. Cossa disela de sto tempo, patrona? (a Clarice)
CLAR. Il tempo è bello, ma la mia fortuna è assai trista.
PANT. Cossa gh'ala che la desturba?
CLAR. Ah signor Pantalone. (sospira) Niente. (si volta e ride)
FLA. (Ehi, vi burla). (a Pantalone)
PANT. (Eh, me ne son intaggià). (a Flaminia)
FLA. (Se conosceste meglio il mio cuore...) (a Pantalone)
FLA. Pazienza. Non posso dirvi di più. (si volta)
CLAR. (Le credete?) (a Pantalone)
PANT. (Gnente affatto). (a Clarice)
FLA. (Clarice mi disturba infinitamente). (da sé)
PANT. Comandele che le serva de una fettina de pero?
CLAR. Ha tutte le sue galanterie il signor Pantalone.
PANT. Cosse da vecchio, védela. Cosse da poveromo. Roba tenera, e che costa poco. (tira fuori un coltello per mondare la pera)
CLAR. Capperi! Quel pezzo di coltello portate in tasca?
PANT. Arma spontada, che no serve più. (mondando la pera)
FLA. Siete fatto apposta per favorire le donne.
CLAR. Se siete il ritratto della galanteria!
PANT. Dasseno? (mondando la pera)
FLA. La grazia non si perde sì facilmente.
CLAR. Guardate come monda bene quella pera.
PANT. Una volta me destrigava in do taggi. Adesso bisogna che fazza un pochetto alla volta.
FLA. Per far le cose bene, ci vuole il suo tempo.
PANT. Una volta fava presto, e ben; adesso fazzo adasio, e mal.
CLAR. Eh via, non vi avvilite, signore. Siete un uomo fresco, forte, robusto.
PANT. La toga sto bocconzin de pero. (a Clarice)
PANT. Anca ella, patrona. (a Flaminia)
FLA. Vi ringrazio, signore. Frutti non ne mangio mai.
PANT. No la se degna de receverlo dalle mie man?
CLAR. Ha ragione la signora Flaminia; a lei dovevate presentarlo prima.
FLA. Io non ho queste pretensioni.
PANT. Mi no vardo le suttiliezze. Vago alla bona, vago all'antiga. La favorissa, la prego. (a Flaminia)
FLA. Davvero vi sono obbligata. (lo ricusa)
PANT. La toga ella. (a Clarice)
CLAR. Vi ringrazio. (lo ricusa)
PANT. Lo magnerò mi. (mangia, e segue a tagliare)
FLA. Credetemi, signora Clarice, che il vostro carattere mi fa specie.
CLAR. Ed il vostro, signora, mi fa compassione.
PANT. Comandela? (offre a Flaminia)
FLA. Obbligatissima. (ricusa)
PANT. Magnerò mi. (mangia, e segue a tagliare)
FLA. La burla va bene fino ad un certo segno. (a Clarice)
CLAR. Molte volte si dicono delle cose per iscoprire l'altrui intenzione.
FLA. In ogni maniera il fingere non è cosa buona.
CLAR. Si vedono i difetti altrui, e non si conoscono i propri.
FLA. Dispensatemi, signore. (ricusa)
FLA. Io sono una donna che parla chiaro.
CLAR. Ed io sono una che non parla torbido.
PANT. El rosegotto no la lo vorrà. (a Flaminia)
FLA. (Che femmina ardita!) (da sé)
PANT. Gnanca ella. (a Clarice)
CLAR. Sì, signore, io lo prenderò. (lo prende di mano a Pantalone)
PANT. Brava. Da mi no se pol sperar altro che rosegotti.
FLA. Ho inteso, signori miei. Accomodatevi meglio senza di me.
PANT. Eh via, me maraveggio. Cossa vol dir? Se scàldele? se vorle dar per le mie maledette bellezze? A monte, patrone, a monte ste cargadure. Se cognossemo. So che le me burla. Son vecchio, ma no son da brusar. E se le me tol per un rosegotto de fatto, le sappia che gh'ho ancora polpa, sugo e sostanza; che son mauro, ma no son marzo; e che se no son un pero botirro da prima stagion, son un pero da inverno ben conservà, che no gh'ha invidia d'una nespola dalla corona.
FLA. Signore, se voi parlate di me, sappiate...
CLAR. Io non so fingere, signore.