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ATTO PRIMO
Scena Quarta. Rosaura e Marionette, vestita all’uso delle cameriere francesi
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Ros. Cara Marionette, dimmi tu, che sei nata francese e sei stata allevata a Parigi, che figura farei io, se fossi colà fra quelle madame?
Mar. Voi avete dello spirito, e chi ha dello spirito, in Francia fa la sua figura.
Ros. Eppure io non sono delle più disinvolte; in Italia ne troverai moltissime più di me più briose, pronte di lingua, e sciolte nel costume.
Mar. Volete dire di quelle che in Italia si chiamano spiritose, e noi le diremmo spiritate. A Parigi piace il brio composto: una disinvoltura manierosa, una prontezza corretta, ed un costume ben regolato.
Ros. Dunque colà le donne saranno molto modeste.
Mar. Eh, non si piccano poi di tanta modestia. Tutto passa per galanteria, quando è fatto con garbo.
Ros. Ma dimmi, per essere stata tutta la notte al ballo, sono io di cattivo colore?
Mar. Siete rossa naturalmente, ma questo in Francia non basterebbe. Colà le donne per comparire hanno d’adoperare il belletto.
Ros. Questo poi non l’approverei. Non vi so vedere una giusta ragione.
Mar. Parliamoci qui tra noi. Qual è quella delle mode di noi altre donne, che sia regolata dalla ragione? Forse il tagliarci i capelli, nei quali una volta consisteva un pregio singolare delle donne? Il guardinfante, che ci rende deformi? Il tormento che diamo alla nostra fronte per sradicare i piccoli peli? Tremar di freddo l’inverno, per la vanità di mostrare quello che dovremmo tener nascosto? Eh, tutte pazzie, signora padrona, tutte pazzie.
Ros. Basta, io non mi voglio fare riformatrice del secolo.
Mar. Fate bene; si va dietro agli altri. Se vi rendeste singolare, forse non sareste considerata.
Ros. Anzi da qui avanti voglio sfoggiar le mode con un poco più d’attenzione. Sin ora fui nelle mani d’un vecchio tisico; ma giacché‚ la sorte me ne ha liberata colla sua morte, non vo’ perdere miseramente la mia gioventù.
Mar. Sì, trovatevi un giovinotto e rifatevi del tempo perduto.
Ros. Converrà ch’io faccia speditamente. È vero che il signor Pantalone mio cognato mi tratta con civiltà, ma finalmente non posso più dire di essere in casa mia, e vivo con della soggezione.
Mar. Ma non vi mancheranno partiti: siete giovane, siete bella, e quello che più importa, avete una buona dote.
Ros. In grazia di quel povero vecchio che l’ha aumentata.
Mar. Ditemi la verità, avete niente per le mani?
Ros. Così presto? Sono vedova di pochi mesi.
Mar. Eh, le mogli govani dei mariti vecchi sogliono pensar per tempo a sceglier quello che deve loro rasciugare le lagrime. Mi ricordo aver fatto lo stesso anch’io col primo marito, che ne aveva settanta.
Ros. Mi fai ridere. Il Conte non mi dispiace.
Mar. Non sarebbe cattivo partito, ma è troppo geloso.
Mar. Io vi consiglierei star a vedere, se vi capita qualche cosa di meglio. Oh, se poteste avere un Francese! Beata voi!
Ros. Che vantaggio avrei a sposar un Francese?
Mar. Godereste tutta la vostra libertà, senza timore di dargli una minima gelosia; anzi con sicurezza, che quanto più foste disinvolta tanto più gli dareste nel genio.
Ros. Questa è una bella prerogativa.
Mar. I mariti Francesi sono troppo comodi per le donne. Credetelo a me, che lo dico per prova.
Ros. Mia sorella ancor non si vede.
Mar. Poverina! Anch’ella cerca marito.
Ros. Bisognerà che lo provvediamo anche a lei.
Mar. Se non ci pensaste voi, vostro padre la lascerebbe invecchiare fanciulla.
Ros. Per questo la tengo meco.
Ros. Mi pare che mio cognato la miri di buon occhio.
Mar. S’ella sperasse ch’egli morisse tanto presto, quanto ha fatto il vostro, forse lo piglierebbe. Per altro mi pare abbia cera di volerlo giovane, bello e di buona complessione.
Ros. Chi è costui, che viene alla volta della mia camera?
Mar. Un cameriere della locanda dello Scudo di Francia. Lo conosco, perché vi sono stata alloggiata. È molto faceto.
Ros. Viene avanti con gran libertà. Domandagli che cosa vuole.
Mar. Lasciatelo venire, che n’avrete piacere.