Carlo Goldoni
La villeggiatura

ATTO SECONDO

SCENA SESTA

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SCENA SESTA

 

Donna Lavinia, Donna Florida, Don Mauro e Don Paoluccio.

 

PAOL. Compatitemi, se mi scaldo in un proposito che mi tocca sul vivo. Il signor don Mauro ed io siamo di contraria opinione intorno ad alcune massime della vita civile. Donna Lavinia si è dichiarata del suo partito; ed io non son contento, se non vi vedo convinti.

LAV. Sarà difficile, signor mio caro...

FLO. Lasciatelo parlare, se volete intendere la ragione.

PAOL. Qui s'abbiamo a battere non colla spada, ma colle parole.

LAV. Ricordatevi, che le leggi di buona cavalleria vogliono che sia il combattimento con armi eguali. Voi non l'avete da soverchiare.

PAOL. Volete dire, ch'io parlo troppo. L'avete detto con grande spirito: alla maniera francese. Un frizzo simile mi disse un giorno madama di Sciantillon, cognata del duca di Scenleuriè.

FLO. Fan buono queste applicazioni concise.

MAU. Voi non mi farete uscire dal mio costume. Se vi comoda udire le mie ragioni, ascoltatele: quando no, io non vo' gareggiarecolla vostra voce, né colle vostre parole.

PAOL. Parliamo alla foggia vostra, basso quanto volete, e adagio quanto vi comoda. Sediamo, se comandate.

LAV. Chi è di ? Da sedere. (Servitori accostano le sedie, e tutti siedono)

PAOL. Favorite, don Mauro, acciò possiamo ridurre la questione al suo vero principio. Favorite darmi la definizione della costanza.

MAU. La costanza è una fermezza d'animo, una perseveranza in un proposito creduto buono, la quale né dal timore, né dalla speranza può essere deviata.

PAOL. Signore mie, vi sottoscrivete a questa definizione? (alle donne)

LAV. Io sì certamente, e non può essere concepita meglio.

FLO. Io non ne sono assai persuasa. Mi aspetto da don Paoluccio qualche cosa di più.

PAOL. Per dir il vero, la definizione di don Mauro è scolastica troppo, e troppo comune. Questo termine di perseveranza è buonissimo in altre occasioni, non in quella in cui ci troviamo, non nel proposito di cui si tratta. Piacquemi, quando egli disse essere la costanza una fermezza d'animo; ma l'animo può esser fermo, senza essere perseverante. Fermezza non vuol sempre dire durevolezza in un proposito che non si muta; ma fortezza, virilità, superiorità di spirito nelle passioni, quello che dagli oltramontani si chiama forte: ond'io riduco la virtù ammirabile della costanza ad una intrepidezza di animo che tutto soffre, e delle proprie passioni non si fa schiavo.

LAV. Voi dunque distruggete la fedeltà.

PAOL. No, perdonatemi, non la distruggo; ma questa bella virtù non può mai esser tiranna.

MAU. Permettetemi dunque ch'io dica...

FLO. Voglio dire la mia opinione ancor io. Ho paura che voi altri signori abbiate preso una chimera per argomento; prima di decidere qual sia la fedeltà e la costanza, conviene riflettere se la costanza, se la fedeltà, si ritrovino.

PAOL. Bellissima riflessione. Se donna Florida fosse stata a Parigi, non potrebbe dir meglio. Colà si burlano di queste passionimalinconiche; ma io sono ancora italiano; non voglio adular me stesso, facendo forza per non sentirle; intendo profittar solamente delle cognizioni acquistate, per moderarle; e vorrei far questo bene alla patria mia, spregiudicando un poco gli animi, che si affaticano per impegno a tormentar se medesimi.

LAV. Ringraziate il cielo, don Paoluccio, che vi siete ben bene spregiudicato; voi non mi tormenterete, per quel ch'io sento, colla soverchia costanza.

PAOL. Io non dico per questo...

MAU. Signore, voi avete finora parlato solo. Se mi darete luogo a rispondere...

PAOL. Bene; è giusto che difendiate la vostra tesi.

FLO. Scommetterei la testa in favore di don Paoluccio.

MAU. Alla costanza, di cui parliamo dee presupporsi un impegno. Che un uomo volesse essere costante (per esempio) nell'amare una donna che non lo amasse, nel servire una dama che nol gradisse, la sua non si potrebbe dire costanza, ma ostinazione o stoltezza, poiché le virtù non vanno mai disgiunte dalla ragione. Supposto dunque l'impegno che lega l'animo colle parole, necessaria è la costanza per uno de' due motivi, o per affetto, o per gratitudine. Chi per affetto è costante, prova dolci le sue catene; chi è astretto ad esserlo dalla gratitudine, non può sottrarsi senza un delitto. Chi crede poterlo fare, mi ha da trovare una legge che autorizzi l'essere ingrato per proprio comodo, che distrugga le convenienze tutte della vita civile, e riduca la società all'interesse unico della propria soddisfazione, rendendo l'uomo ben nato alla vilissima condizione di chi non conosce i vincoli dell'onore.

LAV. Ah, don Mauro, voi avete studiato le vere massime dell'onest'uomo. Mi glorio sempre più di quel cielo sotto di cui son nata, se altrove pensasi diversamente.

PAOL. Credete voi che il ragionamento di don Mauro non ammetta risposta?

FLO. Benché io non sia stata né a Parigi, né a Londra, vorrei, donna qual sono, abbattere i di lui sofismi.

LAV. Non è cosa meravigliosa, che fra di noi si trovi chi non pensa nella maniera comune.

PAOL. Anche a Parigi si suol dir per proverbio: tante teste, e tante opinioni. Ma la più universale è questa: abbiamo tanti mali congiunti alla nostra misera umanità; perché vogliamo noi procacciarci di peggio, con una serie d'incomodi dalla nostra immaginazione prodotti?

MAU. L'esentarsene è cosa facile. Niente obbliga in questo mondo ad incontrare un impegno che costi pena. La costanza può trionfare egualmente nella libertà degli affetti. Mi spiegherò con un paragone: chi obbliga l'uomo a contrarre un debito con un altr'uomo, facendosi, per esempio, prestar danaro od altra cosa di che abbisogni? Ma contratto che ha il debito, qual legge lo disimpegna dalla dovuta restituzione? Chi obbliga un cavaliere alla rispettosa servitù di una dama, impegnandola a distinguere lui dagli altri? Ma ottenuta la distinzione con il reciproco impegno, qual legge d'onestà lo può esimere dalla costanza?

PAOL. Il paragone è fuor di proposito. Poiché chi contrae un debito, sa di dover restituire cosa che ha realmente ottenuta; e quest'impegni di servitù sono, come suol dirsi, castelli in aria.

LAV. (Alzandosi) Orsù, vedo che il vostro ragionamento si avanzerebbe un po' troppo. Lasciatemi continuare nell'abbaglio de' miei pregiudizi, giacché non avete l'abilità di disingannarmi. Restate voi nella quiete delle novelle massime, che avete sì facilmente adottate. L'unica grazia che ardisco chiedervi, è questa: parlatemi di tutto altro, che di servitù e di costanza. (parte)

 

 

 


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