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BEATR. Cosa mi raccomandi, che mi eccita a fiero sdegno. Come! Così poco rispetta Florindo una donna del mio carattere, una donna che lo ammette all’onesto possesso della sua grazia? Io mi sagrifico per sua cagione ad abitare la metà dell’anno in questa piccola terra; preferisco la di lui servitù a quella di tanti altri da me negletti, e così ingratamente il perfido mi corrisponde? Lo so, perché più di me non si cura. Perché non può sperare da una moglie onesta quell’indegno frutto che cercano gli sciagurati da’ loro scorretti amori. Ecco la ragione per cui mi abbandonasti: perché non sai amare virtuosamente. Tu sei vago di compiacere la tua passione. Ma questo tuo pensiere a me non lo hai palesato; che se palesato l’avessi, ti avrei fatto pentire d’aver osato pensare temerariamente di me. Sì, ti amo, ma onestamente; sono di te gelosa, ma senza intacco dell’onor mio. Nulla puoi sperare da me; ma nulla voglio che tu ricerchi da un’altra. Tu amar altra donna? Tu aspirare a sposarla? Giuro al cielo, non sarà vero. L’averai a fare con me. Scellerato Florindo... Ma, oh Dio! che sarà di lui? Tardar non voglio a rintracciarne la verità. Ah, se egli muore, se egli è ferito, se ei mi abbandona, sopra colei che il destino ha condotta nelle mie mani, giuro di fare la più crudele vendetta. (parte)