Carlo Goldoni
L'incognita

ATTO PRIMO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

S’apre la porta del palazzo, da cui escono Rosaura, Arlecchino e due Uomini.

 

ARL. Cara siora, mi no so gnente: comanda chi deve, obbedisce chi puole. Mi fazzo quel che comanda la mia patrona.

ROS. Ma che ti ha comandato la tua padrona?

ARL. L’ha comandà a mi e ai mi camerada, che ve menemo alla posta, che demo sta carta al mastro de posta, e mi no so altro. L’è una carta che pesa, bisogna che denter ghe sia qualche sella da cavallo.

ROS. Come? Vuol ella forse mandarmi via di qui senza dirmi nulla?

ARL. Mi no so altro; andemo e no perdemo più tempo.

ROS. Oh Dio! Dov’è andato Florindo? Era qui poc’anzi; per mia sventura è partito.

ARL. Animo, camerade, andemo. (alli due uomini)

ROS. No, non sarà mai vero ch’io venga.

ARL. Sangue de mi, se no vegnerì, ve porteremo. (afferrandola per un braccio)

ROS. Lasciatemi, o scellerati.

ARL. Qua no gh’è altro, bisogna vegnir. (vogliono condurla via)

 

 

 


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