Carlo Goldoni
L'incognita

ATTO SECONDO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Ridolfo e Rosaura.

 

RID. Orsù, venite qui, Rosaura, e frattanto che la contessa Eleonora va a far i suoi complimenti alla padrona di casa, discorriamola fra voi e me. Ancora non vi ho potuto dir nulla. Il padre di Lelio ci ha tenuti obbligati a quella portiera, e in verità non ho potuto trattenermi di piangere, vedendo il di lui coraggio e la di lui tenerezza.

ROS. Quanto è buono il padre, altrettanto è scellerato il figliuolo.

RID. Basta, pensiamo a noi. Sediamo un poco. Io son vecchio e non posso star lungamente in piedi. (siedono) Figlia, è giunto il tempo in cui vi è lecito di sapere il nome di vostro padre, quello della vostra patria e il vostro medesimo, mentre voi non vi chiamate Rosaura.

ROS. Qual è dunque il mio vero nome?

RID. Teodora.

ROS. E quel di mio padre?

RID. Ernesto.

ROS. Ed il cognome?

RID. Dei conti dell’Isola.

ROS. Sono io contessa?

RID. Sì, lo siete.

ROS. In qual paese ebbi il natale?

RID. In Cagliari, capitale della Sardegna.

ROS. Dunque non in Sicilia.

RID. No, ve lo assicuro.

ROS. Perché mi diceste più volte esser io siciliana?

RID. Per maggiormente occultare a voi stessa una verità, che vi poteva costar la vita.

ROS. Oh Dio! Da chi mai mi veniva questa insidiata?

RID. Da un fiero inimico del vostro sangue.

ROS. Da quello forse che uccise la mia sventurata madre e due innocenti fratelli?

RID. Come ciò vi è palese?

ROS. Lo seppi confusamente dalla contessa Eleonora.

RID. (Oh donne! Non vi si può confidare un arcano). (da sé) La contessa Eleonora ha quasi tradito una sua cugina.

ROS. E chi è mai questa?

RID. Voi lo siete. Poiché da due fratelli aveste la vita.

ROS. Ma perché dite ch’ella quasi mi abbia tradito?

RID. Perché ora m’avvedo da qual fonte uscita sia quella voce, che sparsa si era per Napoli, del vostro vivere; e siccome il conte Ruggiero avea giurato di voler spargere tutto il sangue della vostra famiglia, tremava sempre per il timor della vostra vita, temendo che anche d’Olanda, dove erasi refugiato il conte, potesse egli ordinare la vostra morte, come ha fatto quella dei due bambini. porre in dubbio che foste viva, e mi fu detto che l’inimico vostro era in Napoli; onde non tardai a togliervi dalla città e in questa terra condurvi per deludere sempre più le diligenze del temuto avversario.

ROS. Ed ora quai felici novelle mi avete voi a recare?

RID. Sì, figlia, felicissime e da voi inaspettate. Vostro padre, non meno che il suo nemico, furono esiliati dalla Sardegna. Il primo ricovrossi in Napoli, il secondo in Olanda...

ROS. Mio padre in Napoli? Ma ora dove si trova?

RID. Lo saprete opportunamente. Ciascheduno di loro, dopo il giro di venti anni, col mezzo dei buoni amici supplicò la clemenza del Re del perdono, e uscì il favorevol rescritto che, pacificati li due nemici, potessero ritornare alle case loro. Il conte Ruggiero, che fu il primo ad averne notizia, si portò in Napoli e cercò subito di vostro padre, ov’egli non ardiva darsi a conoscere; ma finalmente assicurato del motivo per cui veniva ricercato, si scoprì a persone delle quali potea meglio fidarsi. L’affare è maneggiato assai bene, si pacificherà col nemico, e anderà fra poco a godere i propri beni, la patria, gli antichi amici, e più di tutto goderà di voi sua unica e cara figlia, senza sospetti, senza riserve, e morrà contento, se prima potrà vedervi nello stato comodo, in cui siete nata.

ROS. Mio padre è in Napoli, ed io non l’ho mai conosciuto?

RID. Un esule della Sardegna non potea in Napoli manifestarsi senza timore.

ROS. Ed ora perché non viene a scoprirsi alla sua unica figlia?

RID. La pace non è ancor fra i due nemici conclusa.

ROS. E che si aspetta a concluderla?

RID. Che voi ne prestiate l’assenso.

ROS. Io? Si teme forse che del mio sangue possa io volere vendetta?

RID. No, udite. I mediatori di questa pace hanno stabilito, che per una vicendevole sicurezza d’essersi ogni odio estinto, voi abbiate a sposarvi al figlio unico del conte Ruggiero.

ROS. (Oimè! Che sento?) (da sé)

RID. In fatti, se queste due famiglie si uniscono, formeranno col tempo nei vostri figli la casa più potente della Sardegna. Né voi odiate lo sposo, né lo sposo è in grado di aver odio verso di voi. Quello dei genitori si sarà estinto cogli anni, e il desiderio di terminar i giorni felici nelle case loro paterne, li farà desiderare la concordia e la pace.

ROS. (Ecco per me una nuova sventura!) (da sé)

RID. Ma voi molto poco lieta accogliete una nuova così felice. Che avete? In luogo di mostrare il riso sul labbro, vi cadono delle lagrime dalle pupille?

ROS. Oh Dio!

RID. Deh parlate! Non mi tenete sospeso. Ditemi, siete voi accesa di qualche fiamma amorosa?

ROS. Ah, negarlo non posso.

RID. Amereste voi forse il perfido Lelio?

ROS. Guardimi il cielo! Amo un giovane civile, onorato e di costumi illibati. Un giovane cittadino che per tre mesi ha pianto per me, senza che io mi sentissi intenerire dalle sue lagrime. Ma oh Dio! Le persecuzioni di Lelio, il non aver notizia di voi, la servitù dell’amante, lo stato miserabile in cui mi ritrovava, tutto mi ha stimolato a non ricusare un partito, che giudicai mi venisse offerto dal cielo.

RID. Sì, è vero; tutto ciò giustifica bastantemente la vostra condotta; ma non basta a sottrarvi dal matrimonio ch’io vi propongo. Si tratta di dare la vita ad un padre.

ROS. Dovrei dunque sagrificarmi alle nozze di uno che non conosco, di uno che probabilmente avrà ereditato dal padre l’odio ch’ebbe col nostro sangue e il disonesto amore che provò per la mia genitrice?

RID. Tutto ciò deve obliarsi e sarà certamente obliato. Son anni che si lavora per questa pace. Ella è conclusa, se voi volete.

ROS. Chi mi può chiedere il sagrificio del cuore?

RID. Un padre che vi diede la vita.

ROS. Questo padre ch’or vuole ch’io mi perda per lui, che cosa ha fatto per me? Vent’anni ha sofferto starmi vicino e non lasciarsi vedere? Mi ha abbandonata al destino, e se voi non mi aveste pietosamente soccorsa, morta sarei di fame. Venga da me mio padre, gli parlerò con rispetto; ma gli dirò che quella figlia, a cui egli non ha pensato per tanti anni, ora non è in istato di sagrificarsi per lui.

RID. Sì, figlia, eccolo quel padre a cui destini di parlare così. Eccolo: io son quello. Di’ che per venti anni a te non ho pensato, che ti ho lasciata morir di fame, ch’io sono un barbaro genitore, e che non merito da una figlia il sagrificio del cuore.

ROS. Oimè! Voi mio padre?

RID. Sì, io sono il misero conte Ernesto. Ah, se non fosse stato l’amore che a te mi teneva legato, sarei passato a vivere in libertà in un regno lontano. Per te ho penato, per te ho sofferto, per te sono invecchiato prima del tempo; ed ora son pronto, per non negarti la compiacenza di un folle amore, andar io stesso a offrire il mio sangue invece della tua mano. (s’alza)

ROS. Deh, fermatevi per pietà!

RID. Ah male spesi sudori! Ah lagrime sparse invano!

ROS. Uditemi. Io non mi credea di parlar con mio padre.

RID. Ma di tuo padre parlavi.

ROS. Né mi credea aver un padre tanto amoroso per me.

RID. Dillo, poteva amarti di più?

ROS. No certamente.

RID. E tu mi pagherai di così trista mercede?

ROS. No, padre, disponete di me.

RID. Sei tu risoluta di dar la mano a quello che io ti offro?

ROS. (Oh Dio!) (da sé) Sì, farò tutto per compiacervi.

RID. Ma tu peni a dirlo.

ROS. Peno, moro, il confesso. Amo Florindo, egli è vero; ma la pena ch’io provo, ma l’amore ch’io nutro, dia maggior merito alla mia obbedienza, e vi sia per questo più cara di vostra figlia la rassegnazione.

RID. Figlia, mia cara figlia, deh, lascia che al seno ti stringa.

ROS. (Ma, oh cieli! Possibile ch’io non abbia mai da sentir un piacere, senza che amareggiato mi venga da una più crudele sventura?) (da sé)

RID. Andiamo dunque. Non perdiamo inutilmente il tempo prezioso.

ROS. Partirò senza rivedere la mia amorosissima Colombina?

RID. Sì, la vedrai. La faremo venir con noi.

ROS. Oh Dio, partirò...

RID. Via, dillo: partirò senza vedere Florindo?

ROS. Sì, partirò senza vedere Florindo.

 

 

 


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