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SCENA PRIMA
Stanza di negozio in casa di Pancrazio, con suoi banchi e scritture; e vari giovini che stanno scrivendo.
PANC. (Tre lettere di cambio oggi scadono, e conviene pagarle. Ma pagarle con che? Denari nello scrigno non ce ne sono. La roba conviene sostenerla per riputazione. Oh povero Pancrazio! siamo in rovina, siamo in precipizio; e perché? Per cagione di quello sciagurato di mio figliuolo). (da sé) Avete estratto il conto corrente con i corrispondenti di Livorno? (ad un Giovine)
PRIMO GIO. Sì signore, l'ho estratto.
PANC. Come stiamo?
PRIMO GIO. Ella deve quattromila pezze.
PANC. (Una bagattella!) E voi avete fatto il conto con quelli di Lione? (ad altro Giovine)
SECONDO GIO. L'ho fatto; e siamo in debito di seimila lire tornesi.
PANC. (Meglio!) E con la Germania, voi, come stiamo? (ad altro Giovine)
TERZO GIO. Con tremila fiorini si pareggia il conto.
PANC. (Va benissimo!) Ho capito tutto: non occorr'altro. I conti di Costantinopoli e di tutto il Levante li ho fatti. In quelle piazze son creditore di molto, e con un giro saldo facilmente gli altri conti. (Conviene dir così per riputazione, acciò i giovini non mi credan fallito. Pur troppo ho de' debiti per ogni luogo, e non so come tirar innanzi). (da sé)