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COR. Questi due zecchini mi dispiace che vadano in quella borsa; ma pazienza, in pochi anni avrò fatto un bel capitale. Se posso aver i denari dal signor Pancrazio, felice me! Mi deve anche non so quanti mesi di salario; voglio unirli tutti, e tutti darli al signor Giacinto, al dieci per cento.
PASQ. Corallina, ti vorrei dire due parole.
COR. Sì, il mio caro Pasquino, son qui che ti ascolto.
PASQ. Quando pensi che facciamo questo matrimonio?
COR. Presto.
PASQ. Ma quando?
COR. Da qui a tre o quattro anni.
PASQ. Sei matta? Perché vuoi aspettar tanto?
COR. L'ho, è vero; ma intanto si va aumentando.
PASQ. S'aumenterà dopo il matrimonio.
COR. No, allora quel ch'è fatto, è fatto.
COR. Zitto, non si ha da sapere.
PASQ. Nemmen io l'ho da sapere?
PASQ. Ma se ho da essere tuo marito.
COR. Ma non lo sei ancora.
PASQ. Corallina, ho paura che vi sia dell'imbroglio.
PASQ. Voglio sapere dove è la tua dote.
COR. Te lo dirò, ma non lo dir a nessuno.
PASQ. Non dubitare, che non parlo.
COR. È nelle mani del signor Giacinto.
PASQ. E si va aumentando?
COR. Sì, mi paga il dieci per cento, e va il frutto sopra il capitale: in poco tempo si raddoppierà; ma guarda non lo dir a nessuno.
PASQ. Non v'è pericolo. Ma non si potrebbe maritarsi, e lasciar che la dote crescesse?
COR. Certamente che si potrebbe.
COR. Ma di quel che t'ho detto, zitto.
COR. (Se sapessi come far entrar in quella borsa degli altri zecchini! Basta, m'ingegnerò). (da sé; parte)