Carlo Goldoni
I mercatanti

ATTO SECONDO

SCENA SETTIMA

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SCENA SETTIMA

 

Il dottor Malazucca e detti.

 

DOTT. Signor Pancrazio riveritissimo.

PANC. Schiavo, signor Dottor carissimo. Compatisca se l'ho fatta aspettare; e mi dispiace, che non mi posso nemmeno adesso trattenere.

DOTT. Una parola, signore.

FACC. (Prenda intanto questi duemila ducati). (piano a Pancrazio)

DOTT. Una parola, padron mio. (a Pancrazio)

PANC. Dica, ma presto, che ho qualche premura.

DOTT. Signore, i duemila ducati...

PANC. I duemila ducati, per servirla, li prenderò io.

DOTT. Quanto mi darete?

PANC. Il sei per cento.

DOTT. Non posso farlo; non posso dall'otto venire al sei.

FACC. (Faciliti, che ne ha bisogno). (piano a Pancrazio)

PANC. (Non vorrei che questo povero vecchio li perdesse). (piano a Faccenda)

FACC. (Le cose si aggiusteranno. Intanto con questi duemila ducati si può far tacer qualcheduno). (piano a Pancrazio)

DOTT. (Per assicurarli, mi converrà perdere qualche cosa). (da sé)

PANC. Ascolti, signor Dottore, sino il sette lo darò, ma niente di più.

DOTT. Via, mi contento del sette.

PANC. Che monete sono?

DOTT. Non lo sapete? Zecchini.

PANC. Andiamo a contar il denaro, e gli farò la scritta.

DOTT. Il denaro è bello e contato. Io vi do questa carta, e voi me ne darete un'altra di vostra mano.

PANC. Ma il soldo dov'è?

DOTT. Domandatelo a vostro figlio.

PANC. A mio figlio? Come c'entra mio figlio?

DOTT. Oh bella! Questa è la sua ricevuta. A lui ho dato i duemila ducati all'otto per cento...

PANC. A lui?...

DOTT. Sì, a voi che siete il capo di casa, non ho difficoltà di lasciarli al sette.

PANC. Oh povero me! Faccenda...

FACC. Un negozio buono, signor padrone.

PANC. Dunque voi avete dato a mio figlio duemila ducati?

DOTT. Non lo sapevate?

PANC. Non lo sapeva, né lo voglio sapere, e faccio il conto di non saperlo.

DOTT. Bisognerà bene che lo sappiate; e se non vi chiamerete voi debitore di questa somma, farò i miei passi, e vostro figlio anderà prigione.

PANC. In prigione mio figlio? Voi meritate di andare in berlina. Voi, vecchio avaro, che per un utile illecito, per guadagnare un per cento di più, mi avete mancato di parola, e li avete dati a un giovine che negozia, è vero, ma finalmente in casa ha ancora suo padre vivo. Se glieli avete dati, vostro danno, meritate di perderli: maledetti tutti quelli della vostra sorte, che facendo usure e scrocchi, precipitano la gioventù.

FACC. (Bravo da galantuomo! Ha parlato da par suo). (da sé)

DOTT. Se non mi pagate con altra moneta che con questa, ora vado a farmi fare giustizia. (mostra d'andarsene)

PANC. Fermatevi, uomo senza onore, senza coscienza.

FACC. (Lasci che vada. Che cosa può fare?) (a Pancrazio)

PANC. (Ah Faccenda, mio figlio non merita che io lo assista, ma è finalmente mio figlio). (piano a Faccenda)

DOTT. Ebbene, che cosa mi dite?

PANC. Meritereste di perder tutto.

DOTT. Ma non perderò niente.

PANC. Avaro, usuraio.

DOTT. Non voglio altri strapazzi. Anderò alla giustizia. (in atto di partire)

PANC. Venite qui.

DOTT. Che volete?

PANC. Vi contentate, che di quell'obbligo mi chiami debitore?

DOTT. Sì, son contento.

PANC. Con un patto però, che riduciamo il cambio dall'otto al sei per cento.

DOTT. Oh, questo poi no. Sino al sette mi contento.

PANC. Il sette non ve lo voglio dare.

DOTT. E noi non faremo niente.

PANC. Perderete il denaro.

DOTT. Ci penserà vostro figlio.

PANC. E per venti ducati precipitereste un uomo?

DOTT. E voi per venti ducati non salverete la riputazione a un figliuolo?

PANC. È una bricconata, una ingiustizia.

DOTT. Schiavo suo. (in atto di partire)

PANC. Fermatevi. Vi renderò io il vostro denaro.

DOTT. Sì, datemelo.

PANC. Venite domani, che ve lo renderò.

DOTT. Sì, tornerò domani. Mi fate anche voi compassione: tornerò domani. Ma sentite, o i miei denari, o il sette per cento, o vostro figlio prigione. Il cielo vi dia vita e salute. (parte)

 

 

 


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