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Camera in casa del Conte, con tavolino e sedie.
Il conte Ottavio, poi Corallina
OTT. Ma! finalmente forz’è che l’umanità si risenta. Rosaura sarà un perpetuo rimorso al cuor mio. Ma il bene che onestamente io spero dal cuor di Beatrice, farà scordarmi e l’amore e l’odio che per Rosaura ho provato, e il di lei nome, e il di lei volto, e le sue lagrime, e la stessa mia crudeltà. (siede pensoso)
OTT. Che cosa vuoi?
COR. Mi manda la padrona... (piangendo)
OTT. Perché piangi? Che hai? (alterato)
COR. No signore, non piango. (s’asciuga gli occhi) Manda la mia padrona a pregarvi, che le permettiate di venirvi a dire una cosa.
OTT. Ditele... che sono occupato.
OTT. Sai tu che mi voglia dire?
COR. Signore, non andate in collera. Ha detto che, se non vi parla adesso, non vi parla più.
OTT. (Ah, Rosaura ha bevuto il veleno). (s’alza furioso)
COR. Via, se non volete, non verrà; che serve che v’infuriate?
OTT. (Povera sventurata!) (da sé, agitato)
OTT. (Negherò d’ascoltarla?) (come sopra)
COR. Sì, o no?
OTT. (Ma con qual cuore potrei soffrir di vederla?) (come sopra)
COR. (Oh, io le dirò di sì: buona notte). (da sé, e parte)
OTT. Fuggasi un tale incontro. Corallina... è andata senza dirmi nulla? Presto, presto; me n’andrò fuori di casa. Dov’è la spada? Dov’è il cappello? Brighella. Non v’è nessuno? (agitato)