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La contessa Rosaura e detto, poi Corallina
ROS. Se avete bisogno di chi vi serva, son qua io, e niuno vi servirà con tanto amore, quanto la vostra sposa.
OTT. (Oh incontro fatale!) (da sé)
ROS. Marito mio, non temete ch’io voglia distrarvi da’ vostri affari. Due parole vi dico, se mi ascoltate. Caro Conte, non mi dite di no.
OTT. (È molto ilare. Tal non sarebbe, se avesse bevuto il veleno). (da sé)
ROS. Voglio esservi odiosa, voglio che le parole mie vi dispiacciano; finalmente si può fare un piccolo sagrifizio per acquistar la sua pace.
OTT. Per acquistar la mia pace?
ROS. Sì: per questo solo motivo vengo io a ragionarvi. Ho pensato con serietà alle vostre risoluzioni, e son pronta a rendervi soddisfatto.
OTT. Volete partire con vostro padre?
ROS. Voglio lasciarvi in libertà. Permettetemi ch’io sieda per un momento. (siede)
ROS. No, per grazia del cielo.
OTT. Dacché bevete le limonate, parmi che stiate meglio della salute.
ROS. Non ancora.
ROS. Via, sedete ed ascoltatemi, che resterete contento.
OTT. Parlate. Sono ad ascoltarvi. (siede)
ROS. Per principiare il discorso con ordine, dovrei rammentarvi che voi mi amaste, in tempo ch’io non sapeva che fosse amore...
OTT. Il ragionamento riuscirebbe assai lungo. Non avrei tempo per ascoltarvi.
ROS. Ciò direi solamente per farvi comprendere, che voi m’insegnaste ad amare.
ROS. Che siccome principiai ad amarvi per rassegnazione ai vostri voleri, posso terminar di vedervi per obbedienza ai vostri comandi.
OTT. Tutto ciò vuol concludere, che avete risoluto di lasciarmi e di andare con vostro padre, non è egli vero?
ROS. Non siete ancora arrivato al punto. Corallina. (Corallina colla sottocoppa colla limonata)
ROS. Sì, lasciala qui, e vattene. (Ottavio si turba)
COR. (Che brutto ceffo! Mi fa paura). (da sé, parte)
ROS. Questa è la solita mia limonata.
OTT. E perché la venite a bevere qui? (alterato)
ROS. Compatitemi. Non ho avuto tempo.
ROS. Fermatevi. (lo tiene per la veste)
ROS. No, Conte, ascoltatemi. Misero voi, se non mi ascoltate.
ROS. Conte mio, qui nessuno ci sente; siam soli, e possiam parlare con libertà. Voi siete sazio di me, voi amate la marchesa Beatrice; il nostro vincolo v’impedisce di possederla; il zelo mio vi tormenta nel conversarla; sono stata io stessa a rimproverarla, e per me forse da sé vi scaccia la vostra bella. Tutti motivi del vostro sdegno, tutte colpe di questa infelice, tutte ragioni che minacciano la mia morte. Eccola: voi, Conte mio, voi me l’avete preparata entro di quest’ampolla. Non voltate la faccia, non isfuggite mirarmi. So che quest’è un veleno; so che voi lo avete a me destinato: non ricuso di beverlo, ma far lo voglio in presenza vostra.
OTT. Eh, chi vi narra tai fole? Non credete... Non è... (vuol prender la caraffina)
ROS. Fermatevi, e lasciatemi dire. Se siete reo, compatitemi; se innocente, consolatemi. Deh torniamo a quel fatale principio, che vi dà pena di rammentare. Sovvengavi che voi foste il primo ed il solo amor mio. Deh rammentate a voi stesso per un momento le tenerezze che per un anno mi praticaste. Io era la vostra delizia, io il vostro bene, io la vostra consolazione. Oh cielo! Quando principiaste ad amarmi meno? Quando le mie luci, il mio volto, le mie parole principiarono a dispiacervi? Confessatelo da cavaliere. Allora solo che i vezzi della marchesa Beatrice v’istillarono il veleno nel cuore. Qual colpa ho io commessa, che meritar mi facesse lo sdegno vostro? Mi sono io allontanata mai dall’amarvi, dall’obbedirvi, dal compatirvi? Ah, dunque un nuovo amore mi rese odiosa ai vostri occhi. E voi vi lusingate, che sciolto dall’odiata catena che a me vi unisce, sareste colla mia rivale felice? No, v’ingannate. Farà altri le mie vendette, e soffrirete forse veder dimezzato quel cuore, che ora vi stimola ad allontanarvi dal mio. Ciò dicovi soltanto per l’amore che ancor vi porto, non per movervi a compassione di me. Odiatemi pure, uccidetemi, ve lo perdono; mentre piuttosto che vivere da voi lontana, a voi mi eleggo morir vicina. Sarete soddisfatto. Sarà Beatrice contenta. Recatele la novella della mia morte. Conte mio, sposo barbaro, ecco ch’io bevo... (in atto di prendere la caraffa)
OTT. Ah no, fermate, Rosaura mia... Vi domando perdono... Oimè... conosco il fallo... comprendo il torto... Sposa, compatitemi per pietà.
ROS. Oh cielo! E sarà vero che voi di cuor mi parliate?
OTT. Ah! che mi sento mille furie in seno, che mi sbranano il cuore.
OTT. Odiatemi, che ben lo merito.
ROS. No, caro, vi amerò piucché mai.
OTT. Sono un barbaro, sono un traditore.
ROS. No, siete il mio caro sposo.
OTT. Qual pena mi si conviene per un sì nero delitto?
ROS. Io vi darò la pena che meritate.
OTT. Sì, studiate la più crudele.
ROS. Abbandonate la conversazione di Beatrice.
OTT. Vada al diavolo. Sì, lo conosco: ella è cagion di tutto. L’aborrirò, l’odierò in eterno.
ROS. Bastami che non l’amiate.
OTT. Andiamo via di Montopoli.
ROS. Sì, ecco la maniera di non vederla mai più.
OTT. Perché non s’apre la terra, perché non mi fulmina il cielo?
ROS. Non date in questi trasporti.
OTT. Arrossisco in mirarvi.
OTT. Oh cielo! Come scopriste voi il veleno?
ROS. Il povero Brighella s’insospettì, m’avvisò. Perdonategli per pietà.
OTT. Sì, cara, con tutto il cuore. Datemi la mano.
ROS. Eccola.
OTT. (L’abbraccia stretta con tutte due le mani) Compatitemi, compatitemi, compatitemi.