Carlo Goldoni
I puntigli domestici

ATTO PRIMO

SCENA QUINTA

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SCENA QUINTA

 

Ottavio e Pantalone

 

OTT. Rompere le braccia al mio servitore? Potrebbe darsi che io rompessi la testa al suo.

PANT. Servitor umilissimo, sior conte mio paron.

OTT. Signor Pantalone, vi riverisco. (con cera brusca)

PANT. Xela in collera?

OTT. Ho ragione di esserlo.

PANT. Con mi no, nevvero?

OTT. Voi siete un buon amico.

PANT. M'ha dito qualcossa sior conte Lelio.

OTT. Egli è un pazzo.

PANT. Cossa vorla far? No la gh'ha altri al mondo che sto nevodo.

OTT. Sarebbe meglio che io non l'avessi.

PANT. Bisogneria po che la se maridasse ella, per conservar la casa.

OTT. Che cosa importa il conservare la casa? Morto io, morti tutti. La mia roba so a chi lasciarla.

PANT. Ogni tanto sento sti manazzi de lassar la roba fora de casa. Sta cossa no la posso sentir.

OTT. Della roba mia posso fare quello che io voglio.

PANT. Xe vero: de la so roba la pol far quel che la vol; ma i omeni de giudizio i sacrifica la so volontà alla giustizia e alla convenienza. Per che rason voravela privar i nevodi, per beneficar dei stranieri? Per paura fursi che i nevodi sia ingrati, e no i se recorda del benefattor? Per l'istessa rason, se pol desmentegar più presto del testator chi no xe del so sangue.

OTT. Sapete che cosa mi ha mandato a dire mia cognata pel suo figliuolo? Che vuole che io licenzi Brighella mio servitore.

PANT. No l'averà dito che la vol, ma che la desidera.

OTT. Come ci entra ella con i miei servitori?

PANT. Finalmente una cugnada xe qualcossa più de un servitor.

OTT. Dovrei dunque mandar via un uomo che mi serve bene, per contentare una femmina senza giudizio?

PANT. No digo mandarlo via, ma darghe qualche sodisfazion. Per la pase convien qualche volta far dei sacrifizi.

OTT. Mia cognata è una donna irragionevole.

PANT. Desgrazia per chi nasse cussì. Chi xe de bon temperamento, se consola e compatisse i cattivi. Ma chi no sa compatir i difetti dei altri, gh'ha un difetto che supera tutti.

OTT. Mio nipote vuol romper le braccia a Brighella.

PANT. El l'ha dito in atto de collera.

OTT. Io sono il padrone di questa casa, e voglio che mi si porti rispetto.

PANT. La gh'ha rason. Xe giusto.

OTT. Se non vuole dipendere, se ne vada a stare da sé. Io non ho bisogno di lui.

PANT. No femo, sior conte, no parlemo de ste cosse. Le case, co le se divide, le se indebolisse.

OTT. Se mi vorranno amico, sarà meglio per loro.

PANT. Ela contenta che mi ghe diga a lori qualche cossa su sto proposito?

OTT. Siete un uomo discreto. Saprete le mie convenienze.

PANT. La lassa far a mi. Voggio andar adesso da siora contessa Beatrice.

OTT. Ditele che, quando vuole qualche cosa, verrò io da lei, e non mandi quella testa calda di suo figliuolo.

PANT. Circa sto servitor... me permettela de far gnente?

OTT. Niente affatto. Brighella mi serve.

PANT. Se poderia licenziarlo per un zorno.

OTT. Nemmeno per un'ora.

PANT. Caro sior conte, qualche volta bisogna ceder. So pur che l'anno passà la ghe n'ha mandà via un altro, per compiacer una cantatrice.

OTT. Sì, è vero. Perché le aveva perso il rispetto.

PANT. E no la vol dar sodisfazion anca a so cugnada?

OTT. Parlatele. In grazia vostra qualche cosa farò.

PANT. Grazie alla so bontà. So che l'è un cavalier prudente, e son seguro che el se remetterà alle cosse giuste. La più bella qualità dell'animo xe la docilità. Tutti semo soggetti alla collera; ma chi ascolta i boni amici, la modera e se correzze. Quel che rovina i omeni per el più, xe i pontigli; e i pontigli che nasse tra i parenti, i sol esser i più feroci. No bisogna ingrossar el sangue; bisogna remediarghe presto, e considerar che el più bel tesoro delle fameggie, xe la bona armonia, la concordia e la pase (parte)

OTT. Io sono l'uomo più dolce della terra. Non vi è cosa che più mi piaccia della concordia e della pace. Ma se mi provocano niente niente, piuttosto morire che cedere. (parte)

 

 

 


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