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I quattro suddetti parlano piano a due a due fra loro. Geronio si avanza
bel bello osservandoli, e viene nel mezzo.
OTT. Oh! riverente m'inchino al signor Geronio. (si alza)
FLOR. Servitor suo, mio padrone. (si alza)
GER. Che cosa fanno qui, signori miei?
OTT. Avendo io avuto la fortuna di conoscere la signora Rosaura, quando era in casa della signora sua zia, ed essendo noi accostumati a far delle riflessioni su qualche buon libro, era venuto per non perder l'uso di un così bello esercizio.
GER. Si esercita egualmente anche questo signore? (verso Florindo)
GER. Cari signori, li supplico, abbiano la bontà di andare a esercitarsi in qualche altro luogo!
FLOR. Io sono scolare del signor Ottavio.
OTT. Sono maestro de' figliuoli del signor Pancrazio.
GER. Io dico al signor maestro che le mie figliuole non hanno bisogno delle sue lezioni, e rispondo al figlio del signor Pancrazio che in casa mia non si viene, senza che io lo sappia.
OTT. Vossignoria ha una figliuola molto prudente!
GER. Tutto effetto della sua bontà.
FLOR. Vossignoria è felice nella sua prole.
GER. Ella mi confonde colle sue cortesi parole.
OTT. Signora Rosaura, ricordatevi della lezione.
OTT. (Sì, Sì, quelle lezioni che trattano di matrimonio, s'imprimono facilmente nel cuore d'una fanciulla). (da sé, parte)
GER. Vossignoria quando parte? (a Florindo)
FLOR. Subito; signora Eleonora, ricordatevi del capitolo.
FLOR. (Credo anch'io, non se lo scorderà. In questa sorta di cose le donne e gli uomini diventano in breve tempo maestri). (da sé, parte)