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BEAT. Signor maestro, non voglio che il mio figliuolo stia tanto fuori di casa. Credetemi che, quando non lo vedo, mi sento morire.
OTT. Ma! le madri sanno quello che dicono, e specialmente le madri di questa sorta.
FLOR. Meglio per noi che fossimo stati in casa.
BEAT. Oimè! che cosa è accaduto? Ti è successa qualche disgrazia?
FLOR. Ah! niente, niente. (sospira)
BEAT. Come! Niente? Tu mi vuoi nascondere la verità. Caro signor maestro, ditemi voi per carità, che cosa ha il mio povero figlio?
OTT. Poverino! è mortificato.
BEAT. Ma perché? Perché? Volete voi parlare?
FLOR. Cara madre, non andate in collera.
BEAT. No, caro, non vado in collera. Dimmi, che ti è accaduto? Dillo a tua madre, che ti vuol tanto bene.
FLOR. Non posso, non ho coraggio.
BEAT. Or ora perdo la pazienza.
FLOR. No, no, non le dite nulla.
BEAT. Taci tu, lo voglio sapere.
OTT. Sappiate signora, che dopoché siamo usciti di casa il signor Lelio, il signor Florindo ed io, appena abbiamo fatto trenta passi, Lelio vide una truppa di vagabondi; li saluta, lo chiamano; ci lascia, con essi s'accompagna, e mi sparisce dagli occhi. Io, per zelo del mio ministero, lo inseguisco, e frattanto ordino a Florindo che si ponga a sedere in una bottega colà vicina, e mi aspetti. Io non sapeva (oh accidenti non aspettati e non preveduti!) che colà vi giuocassero. Il povero giovane ha veduto giuocare, l'occasione lo ha stimolato, ha giuocato, ha perduto e questa è la cagione del suo rammarico e dolore.
FLOR. Mi voglio andar a gettare in un pozzo.
BEAT. No, caro, vien qua, fermati. E per questo ti vuoi disperare? Se hai perduto, pazienza. Hai perduti i due zecchini?
OTT. E ha perduta la spada. (piano a Beatrice)
BEAT. Poverino! Anco la spada?
FLOR. Ma!
BEAT. Zitto, zitto, che non lo sappia mio marito. Ne compreremo un'altra.
OTT. E ha perduto sulla parola... (piano a Beatrice)
BEAT. Quanto?
BEAT. È vero? Hai perduto otto zecchini sulla parola? (a Florindo)
FLOR. Otto?
OTT. Sì, otto. Non vi ricordate del conto che abbiamo fatto?
FLOR. È vero. (Tre li vuole per lui). (da sé)
BEAT. Otto zecchini? Come abbiamo a fare a trovarli?
BEAT. No, per amor del cielo, che non lo sappia.
OTT. Acciò non lo venga a sapere, bisogna pagarli presto.
BEAT. Ma io non li ho. Sia maladetto! N'è causa quello scellerato di Lelio.
FLOR. Ah! signora madre, non mi abbandonate per carità.
BEAT. Io denari non ne ho. Signor Ottavio, come si potrebbe fare a ritrovare questi otto zecchini?
OTT. Se io li avessi, glieli darei con tutto il cuore: non vi sarebbe altro caso che vedere di ritrovarli con qualche pegno.
FLOR. Povera signora madre! E dovrebbe fare un pegno per me? Non lo permetterò certamente.
BEAT. Ma come possiamo fare? Quelli che hanno guadagnato, non aspetteranno qualche giorno?
OTT. Oh! non aspetteranno. Se oggi non si pagano, stassera vengono dal signor Pancrazio.
FLOR. Ed io sarò mortificato, ed io mi ammalerò e morirò.
BEAT. Ah! non dir così, che mi fai gelare il sangue. Presto, presto, bisogna rimediarvi. Signor Ottavio, tenete questo anello ed impegnatelo.
OTT. Volentieri, vi servirò.
FLOR. Cara signora madre, datelo a me, datelo a me, che l'impegnerò io.
BEAT. Eh briccone, tu mi farai qualche ragazzata.
FLOR. (No davvero. L'impegnerò per dieci zecchini). (piano a Beatrice)
BEAT. (E che cosa ne vuoi fare degli altri due?)
FLOR. (Ve lo dirò. Non voglio che senta il signor maestro).
BEAT. Signor Ottavio, andate, se avete da far qualche cosa.
OTT. Ma non sarebbe meglio che quell'anello l'impegnassi io?
FLOR. Signor no, signor no, voglio far io.
OTT. Ricordatevi i vostri impegni.
FLOR. So tutto; son galantuomo.
OTT. (Se mi burla, glielo farò scontare). (da sé, e parte)