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Trastullo e detti, poi Tiburzio
TRAST. Signor padrone, c'è il signor Tiburzio che le vorrebbe parlare.
PANC. Ditegli che siamo a tavola, ma che se vuol venire, è padrone.
TRAST. (Introduce Tiburzio, e parte)
TIB. Perdonatemi, signor Pancrazio, se credeva che foste a tavola, non veniva.
PANC. Eh via, siete il padrone. Portate una sedia. (a Trastullo)
TIB. Per dirvela, ho fretta; se ora non potete favorirmi, piuttosto tornerò.
PANC. Signor no, non voglio darvi questo incomodo. Quanto è il mio debito?
TIB. Quattrocento scudi. Ecco il conto.
PANC. Va bene, quattrocento scudi; l'ho riscontrato ancora io. Lelio, va in camera, e prendi quel sacchetto de' trecento scudi, e portalo qui. Ecco la chiave.
TIB. Mi dispiace il suo incomodo. (a Lelio)
LEL. (Per dirla, è un poco di seccatura). (da sé, e parte)
OTT. (Ehi, va a prendere il sacchetto). (piano a Florindo)
FLOR. (Tremo tutto). (piano ad Ottavio)
OTT. (Franchezza, faccia tosta). (da sé)
PANC. Sedete, signor Tiburzio.
PANC. Se volete favorire, siete il padrone.
TIB. Grazie; ho pranzato che sarà mezz'ora.
TIB. No, davvero; fra pasto non bevo mai.
OTT. Se non vuol bever V. S., beverò io. Ehi, da bere. (gli portano da bere, ed ei subito beve)
PANC. Signor Ottavio, non ci fate nemmeno un brindisi?
OTT. I brindisi non si usano più.