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Rosaura, Florindo e Fiammetta con uomini armati, e detti, e Ottavio
GER. Ah disgraziata, sei qui, eh? (verso Rosaura)
PANC. Zitto, fermatevi e ricordatevi del vostro impegno.
PANC. Signora Rosaura, il suo signor padre si è spogliato della autorità paterna, e ne ha investito me; onde adesso io sono il suo padre e sono nell'istesso tempo suo giudice, e a me tocca a disporre della sua persona, e castigarla di quel fallo che disonora la sua famiglia. Giudice e padre sono anco di te, indegnissimo figlio, reo convinto di più delitti, reo d'una vita pessima, scandalosa, reo del furto de' trecento scudi, reo d'aver condotta via della casa paterna una ragazza onesta, e reo infine d'aver sedotto una povera serva. Signori miei, in che stato sono le vostre cose? (a Florindo e a Rosaura)
PANC. Poveri innocentini! Parlerò più chiaro. Che impegno corre tra voi due? Siete voi promessi? Siete sposati? Siete maritati? Che cosa siete?
FLOR. Ho promesso di sposarla.
FIAMM. Ha promesso anche a me.
PANC. Taci tu, che farai bene; e consolati che devi fare con un uomo giusto e che troverà la maniera di rimediare anco al tuo danno. Dunque tra voi è già corsa la promessa? (a Rosaura)
PANC. Siete promessi; siete fuggiti di casa; l'onore è offeso; bisogna dunque per ripararlo che vi sposiate. Signor Geronio, approvate voi la promessa di vostra figlia? L'autenticate colla vostra?
PANC. Ed io prometto per la parte di Florindo, e tra di noi faremo con più comodo la scrittura.
ROS. (Questo castigo non mi dispiace). (da sé)
PANC. Signori, siete solennemente promessi e sarete un giorno marito e moglie; ma se si effettuasse adesso questo matrimonio, verreste a conseguire non la pena, ma il premio delle vostre colpe, e dall'unione di due persone senza cervello non si potrebbero aspettare che cattivi frutti, corrispondenti alla natura dell'albero. Quattro anni di tempo dovrete stare a concludere le vostre nozze, e in queste spazio Florindo anderà sulla nave ch'è alla vela, dove aveva destinato di mandare il cattivo figliuolo; la signora Rosaura tornerà in campagna, dov'è stata per tanto tempo, serrata in una camera e ben custodita.
PANC. Signora sì, quattr'anni.
FLOR. Questo è un castigo troppo crudele.
PANC. Se non ti piace la mia sentenza, proverai quella di un giudice più severo.
ROS. Ma io con mia zia non voglio più ritornare.
PANC. Signor Geronio, sono in luogo di padre?
GER. Sì, con tutta l'autorità.
PANC. Animo dunque. (agli uomini) Mettetela in una sedia, conducetela dalla sua zia, e fate che si eseguisca.
ROS. Pazienza! Anderò, giacché il cielo così destina.
OTT. Andate, figliuola mia, di buon animo, soffrite con pazienza questa mortificazione. Verrò io qualche volta a ritrovarvi.
ROS. Statemi lontano per sempre, e volesse il cielo che non v'avessi mai conosciuto.
PANC. Come, come? È stato forse il maestro che vi ha sedotta?
ROS. Io stava con mia zia in buona pace, quieta e contenta, quando è venuto costui con dolci parole ed affettate maniere a turbarmi lo spirito, ed invogliarmi del mondo, e farmi odiare la solitudine. Per sua suggestione ho tormentato mio padre, acciocché mi ritornasse alla casa paterna. Le sue lezioni mi hanno invaghita del matrimonio: per sua cagione ho conosciuto il signor Florindo; da lui ritrovata di notte, sono stata in procinto di precipitarmi per sempre. Pazienza! Anderò a chiudermi nella mia stanza; ma non è giusto che vada impunito il perfido seduttore, l'indegno e scellerato impostore.
OTT. Pazienza! Son calunniato.
FLOR. No, non è di ragione che, se noi proviamo il castigo, quel perfido canti il trionfo. Egli è quello che, invece di darmi delle buone lezioni, m'insegnava scrivere le lettere amorose. Egli mi ha condotto a giuocare; egli mi ha introdotto in casa di queste buone ragazze; mi ha egli assistito al furto de' trecento scudi, ed è opera sua il cambio della cenere colle monete.
OTT. Pazienza! Son calunniato.
FIAMM. Io pure, povera sventurata, sono in queste disgrazie per sua cagione. Egli mi ha consigliata a sposare il signor Florindo, e per prezzo della sua mediazione mi ha cavati dal braccio gli smanigli d'oro.
PANC. Pazienza gli stivali. Uomo iniquo, indegno, scellerato. Con voi non posso esser giudice, perché non vi son padre. Anderete al vostro foro, e il vostro giudice vi castigherà...