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BEAT. Ben levato il signor Florindo.
FLOR. Servitore umilissimo, signora Beatrice; appunto desiderava di riverirla.
BEAT. Che cosa avete da comandarmi?
FLOR. Ho da supplicarla di condonare il lungo incomodo che le ho recato, ringraziarla di tutte le finezze che ella s’è degnata di farmi, e pregarla di darmi qualche comando per Venezia.
BEAT. Come? A Venezia? Quando?
FLOR. A momenti; ho mandato a ordinare la posta.
FLOR. In verità ella è così, signora.
BEAT. Ma perché questa repentina risoluzione?
FLOR. Una lettera di mio zio mi obbliga a partir immediatamente.
FLOR. Non gliel’ho detto ancora.
BEAT. Egli non vi lascerà partire.
FLOR. Spero che non m’impedirà il farlo.
BEAT. Se mio nipote vi lascia andare, farò io ogni sforzo per trattenervi.
FLOR. Non so che dire. Ella parla in una maniera che non capisco. Per qual ragione mi vuol trattenere?
BEAT. Ah! Signor Florindo, non è più tempo di dissimulare. Voi conoscete il mio cuore, voi sapete la mia passione.
FLOR. Ella mi fa una finezza che io non merito.
BEAT. E siete in obbligo di corrispondere all’amor mio.
FLOR. Questo è quello che mi pare un poco difficile.
BEAT. Sì, siete in obbligo di corrispondermi. Una donna che ha superato il rossore, ed ha svelato l’arcano dell’amor suo, non merita di essere villanamente trattata.
FLOR. Io non l’ho obbligata a parlare.
BEAT. Ho taciuto un mese, ora non posso più.
FLOR. Se ella taceva un mese e un giorno, non era niente.
BEAT. Io non mi pento di aver parlato.
FLOR. No? Perché?
BEAT. Perché mi lusingo che mi amerete ancor voi.
FLOR. Signora, sono in necessità di partire.
FLOR. Arriva in tempo. Più presto mi licenzio, più presto parto.