Carlo Goldoni
Il vero amico

ATTO SECONDO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

Florindo e detto.

 

FLOR. (Lelio è qui? Dov’è la mia lettera?) (da sé)

LEL. Caro amico, lasciate che io teneramente vi abbracci, e nuovamente vi dica che da voi riconosco la vita.

FLOR. Ho fatto il mio debito, e niente più. (osserva sul tavolino)

LEL. Certamente, se non eravate voi, quei ribaldi mi soverchiavano. Amico, che ricercate?

FLOR. Niente... (osservando con passione)

LEL. Avete smarrito qualche cosa?

FLOR. Niente, una certa carta.

LEL. Una carta?

FLOR. Sì: è molto che siete qui?

LEL. Da che vi ho lasciato.

FLOR. Vi è stato nessuno in questa camera? (con ismania)

LEL. Ditemi, cercate voi una vostra lettera?

FLOR. (Ahimè! l’ha vista). (da sé) Sì, cerco un abbozzo di lettera.

LEL. Eccola; sarebbe questa?

FLOR. Per l’appunto. Signor Lelio, siamo amici; ma i fogli, compatitemi, non si toccano.

LEL. Né io ho avuto la temerità di levarlo dal tavolino.

FLOR. Come dunque l’avete in tasca?

LEL. Mi è capitato opportunamente.

FLOR. Basta... torno a dire... è un abbozzo fatto per bizzarria.

LEL. Sì, capisco benissimo che voi avete scritto per bizzarria: ma scusatemi, un uomo saggio come voi siete, non mette in ridicolo una donna civile in cotal maniera.

FLOR. Avete ragione; ho fatto male e vi chiedo scusa.

LEL. Non ne parliamo più. La nostra amicizia non si ha da alterare per questo.

FLOR. Non vorrei mai che credeste ch’io avessi scritto per inclinazione, per passione.

LEL. Al contrario bramerei che la vostra lettera fosse sincera, che foste nel caso di pensar come avete scritto, e che un tal partito vi convenisse.

FLOR. Voi bramereste ciò?

LEL. Sì, con tutto il cuore. Ma vedo anch’io quali circostanze si oppongono, ed ho capito fin da principio che avete scritto per bizzarria, e che vi burlate di una femmina che si lusinga.

FLOR. Io non credo ch’ella abbia alcun motivo di lusingarsi.

LEL. Eppure vi assicuro che si lusinga moltissimo. Sapete le donne come son fatte. Le attenzioni di un uomo civile, di un giovane manieroso, vengono interpretate per inclinazioni, per amore. E per dirvi la verità, ella stessa mi ha detto che contava moltissimo sulla vostra inclinazione per lei.

FLOR. E voi che cosa le avete ?

LEL. Le ho detto che ciò mi pareva difficile, che avrei parlato con voi, e se avessi trovato vero quanto ella suppone, avrei di buon animo secondate le di lei intenzioni.

FLOR. Caro amico, possibile che la vostra amicizia arrivi per me a quest’eccesso?

LEL. Io non ci trovo niente di estraordinario. Ditemi la verità, inclinereste voi a sposarla?

FLOR. Oh cieli! Che cosa mi domandate? A qual cimento mettete voi la mia sincerità, in confronto del mio dovere?

LEL. Orsù, capisco che voi l’amate. Può essere che l’amore che avete per me, vi faccia in essa trovar del merito; non abbiate riguardo alcuno a spiegarvi, mentre vi assicuro dal canto mio, che non potrei desiderarmi un piacer maggiore.

FLOR. Signor Lelio, pensateci bene.

LEL. Mi fate ridere. Via, facciamolo questo matrimonio.

FLOR. Ma! E il vostro interesse?

LEL. Se questo vi trattiene, non ci pensate. È vero ch’ella è più ricca di me, che da lei posso sperar qualche cosa, ma ad un amico sagrifico tutto assai volentieri.

FLOR. Né io son in caso di accettare un tal sagrifizio.

LEL. Parlatemi sinceramente. L’amate o non l’amate?

FLOR. Vi dirò ch’io la stimo, ch’io ho per lei tutto il rispetto possibile...

LEL. E per questa stima, per questo rispetto, la sposereste?

FLOR. Oh Dio! Non so; se non fosse per farvi un torto.

LEL. Che torto? Mi maraviglio di voi. Vi replico, questo sarebbe per me un piacere estremo, una consolazione infinita.

FLOR. Ma lo dite di cuore?

LEL. Colla maggior sincerità del mondo.

FLOR. (Son fuor di me. Non so in che mondo mi sia). (da sé)

LEL. Volete ch’io gliene parli?

FLOR. (Oimè!) Fate quel che volete.

LEL. La sposerete di genio?

FLOR. Ah! mi avete strappato dal cuore un segreto... ma voi ne siete la causa.

LEL. Tanto meglio per me. Non potea bramarmi contento maggiore. Il mio caro Florindo, il mio caro amico, sarà mio congiunto, sarà il mio rispettabile zio.

FLOR. Vostro zio?

LEL. Sì, sposando voi la signora Beatrice mia zia, avrò l’onore di esser vostro nipote.

FLOR. (Ahimè, che sento! Che equivoco è mai questo!) (da sé)

LEL. Che avete, che mi sembrate confuso?

FLOR. (Non bisogna perdersi, non bisogna scoprirsi). (da sé) Sì, caro Lelio, l’allegrezza mi fa confondere.

LEL. Per dire la verità, mia zia è un poco avanzata, ma non è ancora sprezzabile. Ha del talento, è di un ottimo cuore.

FLOR. Certo, è verissimo.

LEL. Quando volete che si facciano queste nozze?

FLOR. Eh, ne parleremo, ne parleremo. (smania)

LEL. Che avete che smaniate?

FLOR. Gran caldo.

LEL. Via, per consolarvi solleciterò quanto sia possibile le vostre nozze. Ora vado dalla signora Beatrice, e se ella non s’oppone, vi può dare la mano quando volete.

FLOR. (Povero me: se la signora Rosaura sa questa cosa, che dirà mai!) (da sé) Caro amico, vi prego di una grazia, di quest’affare non ne parlate a nessuno.

LEL. No? Per qual causa?

FLOR. Ho i miei riguardi. A Venezia non ho scritto niente, se mio zio lo sa, gli dispiacerà, ed io non lo voglio disgustare. Le cose presto passano di bocca in bocca, e i graziosi si dilettano di scriver le novità.

LEL. Finalmente, se sposate mia zia, ella non vi farà disonore.

FLOR. Sì, va bene, ma ho gusto che non si sappia.

LEL. Via, non lo dirò a nessuno. Ma alla signora Beatrice...

FLOR. Neppure a lei.

LEL. Oh diavolo! Non lo dirò alla sposa? La sarebbe bella!

FLOR. S’ella lo sa, in tre giorni lo sa tutta Bologna.

LEL. Eh via, spropositi. Amico, state allegro, non vedo l’ora che si concludano queste nozze. (parte)

 

 

 


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