Carlo Goldoni
Il vero amico

ATTO TERZO

SCENA VENTIQUATTRESIMA

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SCENA VENTIQUATTRESIMA

 

Florindo e Lelio.

 

FLOR. Ah, perché mi avete impedito?...

LEL. Amico, voi mi sorprendete, voi m’incantate; conosco l’animo vostro generoso, magnanimo. Ottavio non può più nascondere la sua ricchezza, non può negare alla figlia una bella dote; ella diviene una ricca sposa, e voi, sagrificando all’amicizia l’amore...

FLOR. Rendovi quella giustizia che meritate. Fo il mio dovere soltanto...

LEL. Ma come poss’io sperare che Rosaura accesa di voi...

FLOR. Lasciate l’impegno a me. Secondatemi, e non dubitate. Permettetemi una leggiera finzione, e ne vedrete l’effetto.

LEL. Sono nelle vostre mani, da voi può dipendere la mia felicità.

FLOR. Non dubitate di questo. Ditemi, come andò l’affar dello scrigno?

LEL. Sono arrivato in tempo. Trappola è fuggito, ed io ho veduto un gran numero di monete d’oro. È arrivato l’avaro, ed a forza ha strascinato lo scrigno nella sua camera. Fra la rabbia e il dolore è caduto due volte. Temeva di essere seguitato, abbracciava lo scrigno, volea coprirlo, volea nasconderlo... Ma ecco la signora Rosaura.

 

 

 


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