Carlo Goldoni
La putta onorata

LETTERA DELL’AUTORE AL BETTINELLI

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LETTERA DELL’AUTORE

AL BETTINELLI

 

Scrittagli l’anno 1751 da Turino, mandandogli la presente Commedia.

 

Dappoiché pare a voi che la Putta Onorata possa apportarvi qualche utilità coll’essere data al pubblico, io voglio compiacervi anche di questa, quantunque non abbia quella opinione di essa, che voi avete. Sia stata qual si voglia la sua riuscita sul Teatro, non potrà certamente ritrovare quel gradimento fra’ Leggitori fuori di Venezia, che ritrovò fra gli Spettatori sulle Scene Veneziane. Otto personaggi, che dentro vi favellano nel nativo linguaggio di quella Città, mi fanno dubitare che perdendosi nella non bene intesa lingua il sapore de’ sentimenti, rimanga scipita e forse rincrescevole. Né mi sgomenterei gran fatto, se la favella in essa usata fosse stata tratta dal parlare degli uomini colti, perciocché non si discosterebbe lungo tratto da quella, che per tutta l’Italia è intesa; ma avendo io in più luoghi imitato le azioni e i ragionamenti della minuta gente, mi convenne attenermi a que’ modi di dire, che più a tal qualità di persone si confanno. È a ciascheduno palese, quanto sia diverso in ogni Città il ragionare degli uomini qualificati da quello delle genti d’altra condizione, e che queste ultime sì dagli altri lo hanno diverso, che quasi nati sembrano in altro Paese; perciocché oltre alla differenza di molti vocaboli e della pronuncia ancora, hanno altresì certe forme particolari o di sentenze, o di proverbi, o di diciture in gergo, che piacevolissime sono a chi le intende, ma riescono a chi non è più che pratico oscurissime. Fra tutti quelli che hanno grandissima copia di sì fatte forme di favellare, sono i Gondolieri di Venezia, i quali furono da me nella presente Commedia imitati con tanta attenzione che più volte mi posi ad ascoltarli, quando quistionavano, sollazzavansi o altre funzioni facevano, per poterli ricopiare nella mia Commedia naturalmente. Questa stessa esattezza, che fece così grata la mia fatica in una Città, dove tali cose sono sotto gli occhi ogni , e tali vocaboli si odono sempre; temo che la renderà forse noiosa a quelli che, nati lontani da essa, non intendono la proprietà de’ vocaboli Veneziani. E più mi conferma l’osservazione che ho fatta nel vederla a recitare; poiché in Venezia ricordarvi quante e quante sere fu replicata la prima volta, e come in calca venivano le persone per aver luogo nel Teatro ad udirla, e nell’anno susseguente ancora non ebbe peggior fortuna; né minor piacere fece agli ascoltanti di Verona, come quelli a’ quali quel ragionare non è affatto nuovo; ma allontanata di , non ebbe la stessa riuscita; appunto perché, rimanendo oscura per metà, non poteva più essere gradita interamente. Quello ch’io vidi quando fu rappresentata dubito che accada quando sarà venuta alla luce, e tanto più perché nel leggere il movimento dell’azione è perduto; che pur talvolta tanto spirito anche alle cose non affatto evidenti, che le fa comprendere agli ascoltanti. Con tutto ciò, poiché voi così desiderate, io non sono per contrastare alla vostra volontà; ma in ciò solamente a Voi mi raccomando, che i più oscuri modi di favellare sieno almeno, come nel primo tomo si è fatto, con alcune postille dichiarati; e quanto si può venga aperto il senso di quelli, acciocché il non intenderli non disgusti altrui dal leggere. In questa forma facendo, son certo che, se non darà tutto quel diletto a’ Forestieri che può dare a’ Leggitori Veneziani, si renderà almeno men faticosa, e perciò più facilmente si potrà ritrovare chi la legga senza rincrescimento. Non dubito che adoprerete in ciò tutta la diligenza, e promettendovi pel venturo ordinario la Buona Moglie, che a questa, quasi secondogenita, vien dietro, col cuore vi abbraccio.


 


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