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SCENA PRIMA
Camera in casa del Marchese con tavolino e lumi.
La marchesa Beatrice e Scanna usuraio.
BEAT. Venite, signor Scanna, venite in questa camera, che parleremo con più libertà.
SCAN. Mi vegno dove che la comanda.
BEAT. Ho premura di venti zecchini. Li ho perduti al gioco sulla parola. Mio marito non me li vuol dare; ed io, che sono una dama d’onore, voglio in ogni forma pagare.
SCAN. Benissimo, la gh’ha rason. Ma come vorla che femo a trovar sti vinti zecchini?
BEAT. Ho il mio fornimento. Non lo vedete?
SCAN. Ben. Su quello troveremo i vinti zecchini.
BEAT. Ed ho da privarmene?
BEAT. (Oh maledetto gioco). (da sé)
BEAT. (Se non pago il debito, non potrò più giocare, non potrò più andar alla conversazione). (da sé)
SCAN. (Eh, la vien zo senz’altro). (da sé)
BEAT. Via, tenete, vi darò gli orecchini. (Già si usano anco di perle false). (da sé)
SCAN. Oh! i recchini no basta. Cossa porli valer? Vinti ducati?
BEAT. Il diavolo che vi porti! Vagliono cento scudi.
SCAN. Ma i diamanti un zorno i val, un zorno no i val.
BEAT. E così, che facciamo?
SCAN. La me daga anca el zoggielo.
BEAT. Vi darò per venti zecchini il valore di cento doppie?
SCAN. Ben, se la vol de più, ghe darò anca de più.
BEAT. Io non ho bisogno d’altro che di venti zecchini.
SCAN. Questi la li ha da pagar; e no la vol gnente per tentar de refarse?
BEAT. Via, ne prenderò trenta, ma quanto vi darò di usura?
SCAN. Usura! La me perdona, mi no togo usura.
BEAT. Dunque...
SCAN. La farà el solito, quel che fa i altri. Sedese soldi per ducato el primo mese, e do soldi per ducato i altri mesi per un anno, con patto che se no la le scode drento de l’anno, le zoggie sia perse.
BEAT. E se io le riscotessi in tre o quattro giorni?
SCAN. Tant’e tanto bisogna pagar i sedese soldi per ducato del primo mese.
BEAT. Vi vuol pazienza. (Maledetto gioco!) (da sé)
SCAN. Se la vol i so bezzi, ghe li dago subito.
SCAN. La vegna qua, zecchini tutti de peso. (I cala almanco sie grani l’un). (da sé)
SCAN. Uno, do, tre, quattro... (numerando i zecchini)