Carlo Goldoni
La putta onorata

ATTO TERZO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Il marchese Ottavio e detti.

 

OTT. (Mia moglie con un ebreo! Vediamo). (in disparte)

SCAN. Cinque, sie, sette, otto... (come sopra)

OTT. (Buono! E sono zecchini!) (osserva in disparte)

SCAN. Nove, diese, undese, dodese... (come sopra)

OTT. Signora moglie, mi rallegro con lei.

BEAT. (Che ti venga la rabbia! È venuto a tempo). (da sé)

OTT. Zecchini in quantità! Brava.

BEAT. Ma! quando il marito non ha discrezione, conviene che la moglie s’ingegni.

OTT. Fa qualche buon negozio?

BEAT. Impegno le mie gioje.

OTT. Fa bene. E per quanto, se è lecito?

BEAT. Lo saprete quando le averete a riscuotere.

OTT. Ma non si potrebbe sapere adesso?

BEAT. Signor no.

OTT. Galantuomo. Voi che avete più giudizio di lei, ditemi la verità, quanto le date?

SCAN. Trenta zecchini.

OTT. Ed ella vi in pegno le gioje?

SCAN. Lustrissimo sì.

OTT. Bene. E quanto paga d’usura?

SCAN. Non posso sentir sto nome d’usura. Avemo fatto el negozio de sedese soldi per ducato el primo mese, e do soldi i altri mesi per un anno.

OTT. Sì, questo è un negozio che l’ho sentito a proporre ancora, e so che in un anno si viene a pagar d’usura il trenta per cento; e riscuotendo il pegno il primo mese, si paga in ragion d’anno il cento cinquanta per cento. Signora marchesa, ella fa de’ buoni negozi.

BEAT. Il bisogno me lo fa fare.

OTT. E tutto per il giuoco.

BEAT. Quando la cosa è fatta, è fatta. La riputazione vuole che io paghi.

OTT. Ma è una bestialità il pagar tanto di usura.

SCAN. Maledetto quel nome di usura!

BEAT. Ma cosa si può fare?

OTT. Direi... piuttosto venderle quelle gioje.

BEAT. E poi?

OTT. E poi ne compreremo dell’altre.

BEAT. Ho paura di non vederle mai più.

OTT. Sapete che ho messo in vendita il mio palazzo. Vi comprerò gioje molto più belle di queste.

BEAT. Ma a venderle vi vuol tempo.

SCAN. Se la vol, mi le comprerò, e ghe darò i so bezzi subito. Quando domandela?

OTT. Bisogna farle stimare.

BEAT. Io non ho tempo da perdere.

SCAN. Se la vol, ghe darò intanto i trenta zecchini.

BEAT. Datemene quaranta.

SCAN. Che ghe li daga? (ad Ottavio)

OTT. Sì, contentatela.

SCAN. La toga; dodese la ghe n’ha avudo, e questi altri vintiotto fa quaranta.

OTT. Andiamo a far stimar le gioje.

BEAT. E il resto chi l’avrà?

OTT. Poco resto vi può essere, è vero, signor Scanna?

SCAN. Oh, poco seguro. Fazzo riverenza a vussustrissima. (Che bon matrimonio!) (parte)

OTT. (Son arrivato in tempo. Il resto non è tanto poco; servirà per i miei bisogni, e per procurar di rasciugar le lagrime di Bettina). (fra sé, parte)

BEAT. Chi sa? Con ventidue zecchini posso ritentar la mia sorte. Ma se il marchese non mi ricompra le gioje, ha da sentire. Chi è mai questa creatura che piange? Pare che sia in questa casa. Mi sembra che la voce venga da qualche altra camera. Qui vi è qualcheduno senz’altro. Alla voce sembra una donna. Sarebbe bella che mio marito... Non sarebbe la prima volta. Voglio chiarirmi. Se la porta sarà serrata, la farò buttar giù. Sugli occhi miei? In casa mia? Se vi è una donna, si pentirà di esser venuta. (parte)

 

 

 


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