Carlo Goldoni
L'amore paterno

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Camilla ed Arlecchino

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SCENA TERZA

 

Camilla ed Arlecchino

 

CAM. E bene, il mio caro Arlecchino, si può sapere per qual ragione siete in collera con Scapino?

ARL. Mi no son in collera con Scapin; ma son in collera con ti.

CAM. Con me? Per qual ragione? Cosa vi ho fatto?

ARL. Perché ricever in casa tanta canaia, e darghe da magnar e da bever, e consumar el nostro miseramente?

CAM. Io l'ho fatto per compassione. Il povero signor Pantalone si trova qui senza amici, senza danari, aveva io da lasciar perire lui e la sua famiglia?

ARL. La compassion l'è bella e bona, ma per aiutar i altri non avemo da pregiudicar i nostri interessi.

CAM. No, caro Arlecchino, per grazia del cielo abbiamo tanto di bene, da poter far del bene anche agli altri.

ARL. Se avemo del ben, non è mai troppo, e no se sa quel che possa nasser; e bisogna far conto dei zorni grassi per paura dei zorni magri.

CAM. Ma il bene che si fa, è sempre bene; e non bisogna mai diffidar della provvidenza, anzi dobbiamo esser certi che il cielo ricompensa le opere buone, e che sempre più saranno migliorati i nostri interessi.

ARL. Orsù, mi no voggio sentir altre prediche. Quel che xe stà, xe stà. Intendo, voggio e comando che ti licenzi subito sior Pantalon.

CAM. Ma dove andrà questo povero galantuomo?

ARL. Che el vaga dove che el vol.

CAM. E le sue povere figlie?

ARL. No le xe né nostre fie, né nostre sorele, e nu no gh'avemo obligo de pensarghe.

CAM. Caro Arlecchino, se mi volete bene, ascoltatemi. Soffrite ch'io vi dica il mio sentimento, e poi farò tutto quello che voi volete. È vero che non sono del nostro sangue, ma sono però il nostro prossimo; hanno bisogno di noi, e se noi fossimo nel loro caso, avressimo piacere di trovar della carità, e bisogna fare ad altri quello che vorremmo che fosse fatto per noi. Oltre a ciò, considerate bene che tutto quello che abbiamo al mondo, lo abbiamo avuto dal signor Stefanello, che era fratello del signor Pantalone e zio di queste povere figlie, e che trovandosi essi in miseria, siamo obbligati a soccorrerli per , per onestà e per giustizia.

ARL. Basta. Per la bona memoria del sior Stefanello, no digo niente, te perdono; quel che xe stà, xe stà. Ti li ha tenudi in casa un mese senza dirmelo, senza scriverme niente, pazenzia. Ma quanto tempo ha da durar sta faccenda? Quando favorìsseli d'andar via?

CAM. Spererei che presto dovessero gli affari del signor Pantalone cangiar aspetto. Ci sono qui a Parigi degli italiani impegnatissimi per far del bene al signor Pantalone. Vengono qui sovente a far un poco di conversazione. Sono incantati della virtù e del merito delle figliuole.

ARL. E perché no ghe tróveli casa? Perché no ghe dai da magnar? No xeli anca lori el so prossimo? Perché mo avémio nu da esser più prossimi dei altri prossimi?

CAM. Questi italiani che vengono qui, sono giovani, non hanno donne. Il signor Pantalone è un uomo onorato, le sue figliuole sono bene accostumate, e finché sono nella mia casa, fanno una buona figura, e nessuno può mormorare.

ARL. Alle curte, quanto tempo resterali ancora in sta casa?

CAM. Non saprei. Dite voi, caro Arlecchino, quanto vi contentate che restino?

ARL. Oggio mi da stabilir el tempo?

CAM. Sì stabilitelo voi.

ARL. Vintiquattr'ore, e gnanca un minuto de più.

CAM. Così poco?

ARL. Tant'è. Vintiquattr'ore.

CAM. Ma non è possibile...

ARL. Pussibile o no pussibile, cussì l'intendo, e cussì ha da esser. Tutto xe preparà per le nostre nozze. Avanti che se sposemo, vôi la casa libera e desbarazzada. Pénseghe ti, altrimenti te digo e te protesto, che no vôi altro da ti, che strazzerò el contratto, che venderò tutto el mio, che andarò a Bergamo a maridarme e che te lasserò qua col to prossimo, e colla to compassion.

CAM. No, ascolta, caro Arlecchino...

ARL. No gh'è altro da dir, non ascolto altre rason. Vintiquattro ore de tempo. O Pantalon, o Arlecchin, o el prossimo, o el marido, o la compassion, o l'amor. Addio, a revéderse, ti m'ha capido. (parte)

 

 

 


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