Carlo Goldoni
L'amore paterno

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA   Camilla, poi Pantalone

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SCENA QUARTA

 

Camilla, poi Pantalone

 

CAM. Povera me! io mi trovo in un imbarazzo grandissimo. Amo Arlecchino, e non lo vorrei disgustare. Se perdo Arlecchino, perdo quanto ho di più caro, quanto ho di più piacevole al mondo. Orsù, il signor Pantalone è assai ragionevole. Ho fatto per lui finora quanto ho potuto. Compatirà ancor egli le mie circostanze... Ma eccolo per l'appunto.

PANT. Camilla. (dalla porta)

CAM. Signore.

PANT. Seu sola?

CAM. Sì, signore, son sola.

PANT. Fia mia, vegnì qua. Lassè che ve parla col cuor averto, con schiettezza e sincerità. Vu fin adesso m'avè fatto del ben. Xe un mese che son in casa vostra, e nelle mie disgrazie e nelle mie miserie vu stada la mia benefattrice, el mio conforto, la mia unica consolazion. No xe giusto però, che per causa mia abbiè da soffrir dei discapiti e dei dispiaceri. Scapin m'ha dito tanto che basta. Arlecchin ve rimprovera per causa mia, ghe volè ben, l'ha da esser vostro mario, e mi, che son un omo d'onor, non ho da romper la vostra pase e la vostra union. El cielo ve renda merito del ben che m'avè fatto. Ve ringrazio de cuor, e avanti sera ve leverò l'incomodo, e mi e le mie povere fie ve lasseremo in te la vostra tranquillità.

CAM. (Fortuna, ti ringrazio: è disposto da sé, senza ch'io abbia la pena di persuaderlo). Avete dunque risoluto di voler partire?

PANT. Sì, fia mia, ho risolto. Son persuaso, so el mio dover, e non occorre pensarghe suso.

CAM. Mi dispiace infinitamente di privarmi della vostra compagnia, e di quella delle vostre care figliuole. Ma vedete bene, signore...

PANT. No parlemo altro. So tutto, ve compatisso, e me tocca a mi a remediarghe.

CAM. Se è lecito, signore, dove pensate voi di voler andare?

PANT. No so gnanca mi.

CAM. Come! non lo sapete? Dite di voler partire, e non sapete ancor dove andare?

PANT. No so gnente, anderò dove che la sorte me porterà.

CAM. E le vostre figlie?

PANT. Le sarà a parte del mio destin. Miserabili, ma onorate.

CAM. Se andate in un albergo, vi costerà molto.

PANT. Né mi sarave in caso de .

CAM. Volete andare in casa di qualche amico?

PANT. Un omo d'onor no conduse in casa de nissun le so fiole.

CAM. Ma cosa dunque destinate di fare?

PANT. Andar via de Parigi.

CAM. Dove?

PANT. No so gnanca mi.

CAM. Avete voi danari per far il viaggio?

PANT. No, fia mia. Ho scritto a Venezia, perché i venda quel poco che me xe restà. Ma ghe vorrà dei mesi, e adesso savè in che stato che son.

CAM. Oh cieli! E come dite voi di voler partire?

PANT. La providenza no abbandona nissun. Venderò quei pochi mobili che me resta, venderò i abiti delle mie povere fie, venderò i libri della mia cara Clarice. Venderò la musica della mia cara Angelica. Oh dio! che pena che le proverà, poverette, a privarse delle cosse più care che le gh'ha a sto mondo. Ma non importa, che se venda tutto, che se sacrifica tutto, ma che se salva el decoro, l'onestà, la reputazion.

CAM. (Mi move sempre più a compassione. Non ho cuore d'abbandonarlo).

PANT. Camilla, a revéderse, el cielo ve benedissa.

CAM. No, signor Pantalone, fermatevi. Non voglio assolutamente che voi partiate da questa casa.

PANT. No, fia mia, ve ringrazio. Xe giusto che vada, e bisogna andar.

CAM. No certo, voi non partirete di casa mia, ad ogni costo.

PANT. Né mi soffrirò mai che Arlecchin se desgusta, e che el ve abbandona per causa mia.

CAM. Lasciate il pensiero a me. Arlecchino veramente ha qualche premura di sposarmi, e non vorrebbe in casa nessuno, ma io gli farò meglio comprendere il vostro stato, il pericolo vostro e delle vostre figliuole, e spero che ancor egli si persuaderà. State qui, state allegro, non vi prendete pena. Vado a consolare le vostre care figliuole, a porre in calma il loro spirito, il loro cuore. Povero signor Pantalone! povera sventurata famiglia! Non temete di nulla. Il cielo vi provvederà. (parte)

 

 

 


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