Carlo Goldoni
L'amore paterno

ATTO PRIMO

SCENA QUINTA   Pantalone, poi Clarice

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SCENA QUINTA

 

Pantalone, poi Clarice

 

PANT. Poverazza! La xe de bon cuor, no gh'ho gnanca podesto responder gnente. Le lagreme m'ha impedio de parlar, ma cossa oggio da far? Oggio da restar? Oggio da andar? Se vago via, cossa sarà de mi? Se resto qua, cossa sarà de Camilla? In tutte le maniere son confuso, son afflitto, son desperà.

CLAR. Oh via, signor padre, Camilla ci ha consolato. Rasserenatevi, consolatevi ancora voi.

PANT. Cara fia, cara la mia Clarice, come mai voleu che me consola, se me vedo proprio perseguità dal destin?

CLAR. Caro signor padre, il destino non vi farà mai tanto male, quanto voi ve ne fate da voi medesimo. Il maggior bene di questa vita è la quiete dell'animo, la rassegnazione, l'indifferenza. Ridetevi della fortuna. Ella ci può toglier tutto fuori della virtù, e non perdiamo niente, se ci resta il lume della ragione.

PANT. Oh cara! oh benedetta! oh che bocca d'oro! Ogni parola xe una perla, ogni sillaba un diamante, ogni discorso una manna, un zucchero che consola el cuor. Me conseggieu de restar?

CLAR. Sì signore, senza veruna difficoltà. La ragione c'insegna a soffrire il male, ma non mai a ricusare il bene. Si devono tollerar le disgrazie, ma non abbiamo da procurarcele da noi stessi. La pietà che ha di noi Camilla è una provvidenza; e noi saremmo ingrati alla provvidenza, abusandoci de' suoi benefici.

PANT. E se Camilla per causa nostra perdesse la so fortuna?

CLAR. Ella non può mai perdere la sua fortuna per far del bene. Se Arlecchino è nemico delle opere buone, non le può essere che un cattivo marito; e la perdita di un cattivo marito è il maggior guadagno che possa fare una donna.

PANT. Mo che massime! mo che pensar! che talento! che talento da Seneca, da Demostene, da Ciceron! Ma a proposito de mario, dime la verità, Clarice, se el cielo te mandasse una bona fortuna, averéssistu piaser de maridarte?

CLAR. Signore, tornerò a dirvi quel ch'ho detto poc'anzi. Le fortune non si ricusano.

PANT. Possibile che qualche signor de merito no s'innamora della to virtù?

CLAR. Caro signor padre, voi credete ch'io sia virtuosa, ed ho che v'inganniate. L'amore ch'io ho per le lettere, non è virtù che basti per dar credito ad una donna. Sono necessarie le virtù dell'animo: di queste sono meschinamente fornita, e non mi lusingo di meritare fortuna.

PANT. Cossa distu? Ti gh'ha tutto, ti meriti tutto, e la to modestia xe la corona dei to meriti e delle to virtù.

CLAR. In verità voi mi fate arrossire.

PANT. Quei pochi italiani che qualche volta ne favorisse, i xe incantai, no i se sazia mai de lodarte.

CLAR. Sono pieni di bontà e di politezza.

PANT. Cossa distu de lori? Cossa te par? Sali gnente? Gh'ali del merito? Ti ti li cognosserà più de mi.

CLAR. In un mese che ho l'onor di trattarli, poco si può rilevare; pure, se ho da dirvi il mio sentimento, vi dirò come penso di loro. Il signor Celio è manieroso, è gentile, ma mi pare un poco troppo vivace. Il signor Silvio ha uno spirito più regolato, ma è troppo serioso. Il signor Florindo sa qualche cosa, ma ha troppa presunzione di se stesso, ed il signor Petronio non sa niente, e si vergogna di non sapere, e loda e biasima quel che sente a biasimare e a lodare.

PANT. Bravissima. No se pol depenzer meggio i caratteri de ste quattro persone. Va , che ti gh'ha una gran testa; el cielo in te le mie disgrazie m'ha la contentezza de do fie che xe do oracoli, do maraveggie. Ti bravissima in te le scienze, e Angelica eccellente in tel canto.

CLAR. Non tanto, signor padre, non tanto. Non fate che l'amor vi trasporti. Non giudicate di noi per passione.

PANT. So quel che digo. Vedo, capisso, intendo, e no son de quei pari, che se lassa orbar dall'amor. Di', Clarice, dime, fia mia, giersera, stamattina, astu fatto gnente, astu composto gnente?

CLAR. Niente, signore, posso dir quasi niente.

PANT. Co son vegnù in te la to camera, ho visto che ti scrivevi.

CLAR. Per dir la verità, faceva un piccolo sonettino.

PANT. Un sonetto? Via, famelo sentir sto sonetto.

CLAR. Ma non è ancora finito. Mi mancano le due terzine.

PANT. N'importa, fame sentir qualcossa.

CLAR. Lo farò per obbedirvi. (tira fuori la carta)

PANT. Mo che allegrezza! mo che consolazion, aver una fia de sta sorte! Co te sento a parlar, me desméntego tutte le mie disgrazie. Co sento qualcuna delle to composizion, me par de esser un omo ricco, un omo felice, no me scambierave con un re de corona.

 

 

 


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