Carlo Goldoni
L'amore paterno

ATTO SECONDO

SCENA UNDICESIMA   Florindo, Petronio e detti.

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SCENA UNDICESIMA

 

Florindo, Petronio e detti.

 

PANT. Oh veli qua! Patroni, che i resta servidi, che i vegna avanti.

FLOR. Servitor umilissimo di lor signori.

PETR. Servo riverente di lor signori. (tutti li salutano)

PANT. La se comoda.

PETR. (Siede vicino a Celio)

FLOR. (Siede vicino a Petronio, sopra l'ultima sedia)

PANT. (Siede fra Clarice ed Angelica) Le soffrirà le debolezze delle mie putte. Un pochetto de musica, un pochetto de poesia. Strazzarie, bagatelle.

FLOR. Anzi, so che hanno del talento. Mi preparo di godere infinitamente. (Ci siamo, convien soffrire la seccatura). (a Petronio)

PETR. (Soffriamola). (a Florindo) (Io non capisco niente né di musica, né di poesia).

PANT. Le sentirà, le compatirà, piccole cosse, cosse da donne. (ridendo)

FLOR. Si sa che le donne non sono obbligate di saper quanto gli uomini. È egli vero, signor Petronio?

PETR. Le donne poi saranno sempre donne.

PANT. Eh, le xe donne. Mie fie xe donne, ma le xe de quelle donne, sala, che non le gh'ha invidia de qualche omo.

CEL. Sono poco obbliganti questi signori. (piano a Clarice)

CLAR. Li conosco, ma li soffro per compiacere mio padre. (a Celio)

PANT. Via, Clarice, faghe sentir quel sonetto che ti ha buttà zo sta mattina. Le sentirà un sonetto fatto in diese minuti. Le sentirà se el xe un componimento da donna.

CLAR. Ma voi sapete, signore, che il sonetto non è che abbozzato.

PANT. N'importa. Dilo come che el xe. Le sentirà che abozzo.

CLAR. Per obbedirvi, lo dirò com'è. (tira fuori la carta)

FLOR. (Ha più paura ella di dirlo, che noi di sentirlo). (a Petronio)

PETR. (Sì, la solita vanità de' poeti). (a Florindo)

PANT. Dighe prima l'argomento, se ti vuol che i lo goda. (a Clarice)

CLAR. Il sonetto riflette sul passaggio che hanno fatto di loco in loco le scienze e le belle arti.

PANT. Séntele? Le scienze e le belle arti; e adesso dove xele le scienze e le belle arti? (a Clarice)

CLAR. Lo sentiranno dal sonetto.

PANT. Le sentirà, a Parigi. Le scienze e le belle arti a Parigi. Le sentirà el sonetto.

CLAR. Del Nilo un tempo, e dell'Eufrate in riva,

Sparse Minerva di scienza i frutti.

PANT. I frutti. (ascoltandola con grande attenzione)

CLAR. Indi del vasto mar solcando i flutti,

Piantò l'arbor feconda in terra argiva.

PANT. Che vol dir in Grecia. Ah? cossa dìseli? Se pol dir de meggio?

FLOR. (Che cattivo principio!) (a Petronio)

PETR. (Cattivissimo). (a Florindo)

CEL. Che dite? Non è una quartina stupenda? (a Petronio)

PETR. Stupenda. (a Celio)

PANT. Da capo, da capo, e le staga zitte, le goda, e no le interrompa più fina in ultima.

CLAR. Del Nilo un tempo, e dell'Eufrate in riva,

Sparse Minerva di scienza i frutti.

Indi del vasto mar solcando i flutti,

Piantò l'arbor feconda in terra argiva.

Roma, l'invida Roma, in cui fioriva

La gloria sol de' popoli distrutti,

Coi talenti di Grecia in lei tradutti

Dissipò l'ignoranza in cui languiva.

Sotto lungo dappoi barbaro sdegno

Giacque incolta l'Europa, e i bei vestigi

Rinnovò di virtù l'italo ingegno.

Ora la saggia Dea de' suoi prodigi

Prodiga è resa delle Gallie al regno.

Menfi, Roma ed Atene oggi è in Parigi.

PANT. Oh brava! Oh pulito! (battendo le mani) Menfi Roma ed Atene oggi è in Parigi. Ah! xele cosse da donna? o xele composizion da Petrarca, da Ariosto, da Metastasio?

CEL. E viva la signora Clarice.

FLOR. Bravissima. (Non si può far peggio). (a Petronio)

PETR. (Puh che roba!) (a Florindo)

CEL. Non si può negare che il sonetto non sia un capo d'opera. (a Petronio)

PETR. Pare anche a me, che sia un capo d'opera. (a Celio) (Io non ho inteso una parola).

CEL. (Ah, sempre più m'innamora. Non vorrei esser costretto a sagrificare la mia libertà).

PANT. E éla, sior Silvio, no la dise gnente? Non la se degna gnanca de dirghe brava a mia fia?

SILV. Io l'ammiro infinitamente, ma la mia passione è la musica.

PANT. Grazie al cielo, gh'avemo da sodisfarla. Vorla musica? la sentirà della musica. A ti, Angelica, cànteghe quella cantata che ti ha composto ti colle parole de to sorela. Musica de una sorela, parole dell'altra sorela, tutte do mie fie. Ah! songio un pare felice? Animo, da brava. Le sentirà, le sentirà, no digo gnente, le sentirà.

ANGEL. Avranno la bontà di perdonare.

PANT. Sì sì, perdonare. La sastu a memoria la cantata?

ANGEL. Sì signore: siccome io ho composto la musica, la so a memoria.

PANT. Co l'è cussì donca, da brava, lèvete suso, dila a memoria, e gestissi un poco. Le vederà che grazia che la gh'ha in tel gestir.

ANGEL. Come volete: ma ci vorrebbe qualcheduno che mi accompagnasse.

SILV. Se comandate, vi accompagnerò io. (ad Angelica)

PANT. Sì ben, el te compagnerà élo. La prego de far pulito. (a Silvio) Ma aspetta, disémoghe l'argomento della cantada.

ANGEL. Lo dirà mia sorella, che è la compositrice delle parole.

PANT. Dilo ti, fia mia. (a Clarice)

CLAR. L'argomento della cantata è la supplica, o sia il memoriale d'un poeta italiano, che domanda in grazia ad Apollo di non esser disprezzato a Parigi.

PANT. Mo che bel argomento! Xelo a proposito? Xelo inzegnoso?

FLOR. (Ci si vede la presunzione). (a Petronio)

PETR. (Chiarissima). (a Florindo)

CEL. (Il suo desiderio è lodevole). (a Petronio)

PETR. (Lodevolissimo). (a Celio)

PANT. Animo, da brava, canta, e fate onor, fia mia. (ad Angelica)

ANGEL. Veramente non sono in voce.

PANT. N'importa.

ANGEL. E se mi manca il fiato?

PANT. T'agiuterò mi.

ANGEL. (Canta, accompagnata dall'orchestra)

Sacro nume di Pindo,

Tu che l'anime accendi

Di canora armonia, tu che rischiari

De' mortali la mente,

Gran lume onnipossente,

Degli uomini conforto, e degli Dei,

Presta orecchio pietoso ai voti miei.

Della Senna in su le sponde,

Tua delizia e tuo decoro,

Non negarmi il verde alloro

Che desio di meritar.

Rammenta, o biondo Dio,

Quanti del sudor mio divoti pegni

Ottenesti finor. Vegliai le notti

Per offrirti gl'incensi. A te in tributo

I più bei della mia vita io diedi,

E qual ebbi da te grazie, o mercedi?

Questo dono or ti chiedo,

Sia grazia, o sia mercé. Fa che un tuo raggio

Rischiari il mio talento,

Fa ch'io piaccia a Parigi, e son contento.

Ah, che dal ciel discende

Raggio d'immortal luce,

Sento de' vati il duce

Che mi favella al cor.

Vieni, mi dice, e spera.

Qui di clemenza è il regno;

Renditi d'onor degno,

E ti prometto onor.

PANT. Oh cara! Oh benedetta! Oh che musica! Oh che parole! Ah, cossa dìseli? Cossa ghe par?

CEL. Per verità, non si può sentire di meglio.

PANT. Cossa dìsela, sior Silvio?

SILV. È adorabile, sono incantato.

FLOR. (Parole indegne, musica scellerata). (a Petronio)

PETR. (Tutto cattivo dunque). (a Florindo)

FLOR. (Tutto pessimo).

PETR. (Sarà tutto pessimo).

CEL. Che dite? avete mai sentito di meglio? (a Petronio)

PETR. Mai. (a Celio)

PANT. E éla no dise gnente, sior Florindo? Par che no l'abbia godesto.

FLOR. Sì, ho goduto. (ironicamente)

PANT. Mi ho paura che nol se n'intenda.

FLOR. Perdonatemi. La musica e la poesia le conosco perfettamente.

PANT. E éla, sior Petronio?

PETR. Io? Ho un gusto delicatissimo.

PANT. Cossa dìsela de mie fie, donca?

PETR. Oh!

PANT. La diga el so sentimento.

PETR. Io mi riporto al giudizio di questi signori.

PANT. (Povero martuffo! Nol sa gnente).

FLOR. Io stimo infinitamente il talento delle signore vostre figliuole, specialmente la buona disposizione della signora Clarice. Per donna è qualche cosa.

PANT. Per donna!

FLOR. Ma se volete sentire un pezzo di poesia, mi darò l'onore io di recitarvi un piccolo madrigale da me composto, che non vi spiacerà.

PANT. Eh credo benissimo, senza che la se incomoda.

FLOR. No no, ho piacere che sia giudicato dalla signora Clarice.

CLAR. Lo sentirò volentieri.

PANT. (Me par mo anca, che la sia una mala creanza).

FLOR. Sentite l'argomento. In lode della cera di Spagna.

PANT. Puh, che diavolo d'argomento!

FLOR. L'idea è bellissima. Si loda la cera di Spagna che sigilla e assicura dall'altrui curiosità i viglietti amorosi. Ah! vi piace, signor Petronio?

PETR. Stupenda.

CEL. (Fa cenno a Petronio, che non va bene)

PETR. (Con cenni disapprova)

FLOR. Del pesato sottil talento ispano

Rubiconda, stupenda maraviglia,

In candida conchiglia

Delle perle d'amor chiude l'arcano.

PANT. Oh che roba! (burlandosi)

FLOR. Come?

CLAR. Bellissima. (ridendo)

CEL. Maravigliosa.

ANGEL. Stupenda.

FLOR. Signor Silvio.

SILV. Benissimo.

FLOR. Signor Petronio.

PETR. Vi faccio il mio umilissimo complimento.

FLOR. Grazie, obbligato. Eh, picciole cose! vi è un poco di spirito, di novità.

 

 

 


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