Carlo Goldoni
L'amore paterno

ATTO TERZO

SCENA SECONDA   Camilla ed Arlecchino

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SCENA SECONDA

 

Camilla ed Arlecchino

 

CAM. (Briccone! trattarmi in tal modo, usarmi una simile crudeltà? Meriterebbe ora ch'io lo scacciassi).

ARL. (Vorria, e no vorria; ma no, mi no ho da esser el primo).

CAM. (Pretenderà ch'io vada a pregarlo. L'ho avvezzato male, e se mi mette il piede sul collo, quando sarò sua moglie mi tratterà come un cane).

ARL. (Ho proprio volontà de guardarla; ma se la guardo, son fritto).

CAM. (Chi sa mai cosa pensa? Chi sa mai con quale intenzione sia qui ritornato?)

ARL. (Coraggio, el vol esser coraggio. Andar via senza dirghe niente). (in atto di partire)

CAM. (Si schiarisce con un poco di caricatura, senza guardarlo)

ARL. (Si ferma, e si rivolta verso Camilla. S'incontrano cogli occhi, e restano un poco ammutoliti)

ARL. Servitor suo. (dolcemente, in atto di voler partire)

CAM. Serva sua. (inchinandosi con mestizia)

ARL. (No la me dise gnanca, che resta?)

CAM. (Ha intenzione ancora di lasciarmi?)

ARL. (No, no la voggio pregar. No sarà mai vero, no me voggio avvilir).

CAM. (È un cane, è un barbaro, senza pietà, senza discrezione).

ARL. (Animo, risoluzion). (in atto di andarsene)

CAM. (Parte).

ARL. (Bisogna andar via). (come sopra)

CAM. (Mi lascia, mi abbandona?)

ARL. (Sì, ho risolto, bisogna andar). (va sino alla scena per partire)

CAM. Ahi, mi sento morire. (si getta sopra una sedia)

ARL. (Si ferma e si rivolge a guardarla) (Ah, me recordo adesso del ferro e dei fili dei burattini; el gh'ha rason. Amor me move i brazzi, le gambe, la testa, el cuor). Camilla, ve sentiu mal?

CAM. Oimè, mi sento... un'oppressione di cuore... una mancanza di respiro... un gelo interno, un sudor freddo, un tremor nelle membra, tutti segni mortali.

ARL. Poveretta! Animo, animo, coraggio, no sarà gnente.

CAM. Crudele! (guardandolo dolcemente)

ARL. (Oh poveromo mi!) Lèvete suso, Camilla.

CAM. Non posso.

ARL. Pròvete, che t'aiuterò.

CAM. (Si alza, e torna cadere sopra la sedia) Non mi reggo in piedi.

ARL. Dame le man a mi tutte do.

CAM. Sostienmi. (gli le mani)

ARL. Non aver paura. (prende per le due mani Camilla; ella si va alzando, e traballa. Quando è alzata, torna a cadere sulla sedia, ed Arlecchino ancor egli, e si trova in terra)

ARL. Aiuto.

CAM. (Balza dalla sedia) Ahi poverino! t'hai fatto male?

ARL. Estu guarida?

CAM. Sì, sono guarita.

ARL. Son guarido anca mi. (s'alza)

CAM. Caro il mio Arlecchino. (singhiozzando)

ARL. Cara la mia zoggia. (singhiozzando)

CAM. Mi vuoi tu bene? (come sopra)

ARL. Tutto el mio ben per ti. (come sopra)

CAM. Sì, è vero, tu mi vuoi bene, ma il povero signor Pantalone...

ARL. Possa cascar la testa a sior Pantalon.

CAM. Cossa ti ha fatto il signor Pantalone?

ARL. Nol m'ha fatto niente: no ghe voggio mal, ma in sta casa mi no lo posso soffrir. Per el magnar, pazenzia. I xe in quattro, i te costerà assae, ma pazenzia; ma se t'ho da sposar, se ho da vegnir in sta casa, mi no vôi nissun. Ti sa el mio temperamento, mi no vôi nissun. Pantalon; do fiole, una predica, l'altra canta; vien della zente, i fa conversazion. Gh'è quel maledetto Scapin. In somma, fin che xe in casa sta zente, mi no ghe vôi più vegnir.

CAM. Ma possibile che io non abbia tanto potere?...

ARL. Vien zente. No vôi sentir altre istorie. Pénseghe suso, e se vederemo. (parte)

 

 

 


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