Carlo Goldoni
Gli amanti timidi

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Giacinto ed i suddetti.

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SCENA TERZA

 

Giacinto ed i suddetti.

 

GIAC. Servitore umilissimo.

ROB. Avete portato il ritratto?

GIAC. Eccolo qui, signore.

ROB. Vediamo. (lo apre, ed osserva)

GIAC. In verità, è un capo d'opera.

ROB. Non vi è male.

GIAC. Osservi quella verità... quella delicatezza del colorito. Osservi quel panneggiamento; e quella mano? Oh quella mano! Benedetta sia quella mano!

ROB. Tutto va bene. La pittura è bellissima; ma circa la somiglianza non ci vedo portenti. Che ne dici, Arlecchino? Che te ne pare?

ARL. Ghe xe qualcossa. Ma el poderia someggiar da vantazo.

GIAC. Circa la somiglianza... dirò... non faccio per dar contro al mio padrone; ma questo è un dono di natura, è un talento che non si può acquistare con l'arte. Per esempio... Io, veda... io... per rassomigliare ho un dono particolare.

ROB. Bravo! Siete anche voi pittore?

GIAC. Vuol veder qualche cosa del mio?

ROB. Vi ringrazio, ora non ho tempo. (Vo' vedere di darlo subito alla signora Dorotea. Posso far meno per soddisfar le di lei premure, ed il mio cuore medesimo?) (da sé) Arlecchino.

ARL. Signore.

ROB. (Darai la mancia a quel giovane). (piano)

ARL. (Quanto?)

ROB. (Quel che ti pare. Sai ch'io non amo di farmi scorgere). (piano ad Arlecchino, e parte)

 

 

 


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