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LUIG. Impertinente, sfacciatella. Presto, fammela venir qui.
COL. Cara signora padrona, convien compatirla; le piaceva tanto quella scuffia! Le stava tanto bene! Poverina! Le ha dato un dolor tanto grande.
COL. Un’altra volta non farà così.
LUIG. L’hai fatta tu questa scuffia?
COL. Eccellenza sì. Che dice? Non è ben fatta?
COL. In verità è all’ultima moda.
LUIG. Queste ale non mi piacciono.
LUIG. Oibò, che brutta scuffia! Non mi piace.
COL. Se non le piaceva, poteva lasciarla a quella povera ragazza.
LUIG. Tu non sei buona da nulla.
COL. Pazienza. (Ho una rabbia, che la scannerei). (da sé)
COL. La tengo.
LUIG. Dove hai ritrovati quei fiori?
COL. Il buffone.
LUIG. Arlecchino? Il buffone te li ha dati? Fraschetta! Fai forse all’amore?
COL. Io non faccio all’amore. Mi ha usata questa finezza, perché qualche volta do dei punti al suo abito buffonesco.
LUIG. Dammi quei fiori; li voglio io.
COL. Non sono fiori da pari sua. (Ha invidia anche di questi fiori). (da sé)
COL. Eccoli, si serva. (Maledetta!) (da sé)
LUIG. Tutta fiori la signora graziosa!
COL. (Non ci starei, se mi desse due doppie al mese). (da sé)
COL. Io l’ho veduto nel salotto, che beveva la cioccolata col padrone.
LUIG. Va a vedere dov’è, e s’egli è solo, digli che gli voglio parlare.
COL. La servo. (Poveri i miei fiori! Vuol tutto per lei, tutto per lei). (da sé, e parte)
LUIG. Oibò! Questi fiori puzzano. Non li voglio. (li getta via)