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ARL. Sì, maledetto ritratto! maledetto pittor! (lo calpesta ancora)
ARL. Lassème, sior, che son desperà.
ROB. Ma si può sapere che cosa tu hai?
ARL. Son desperà, ve digo. Sì, maledetto! (calpesta ancora il ritratto)
ROB. Fermati, bestia, che cosa ti ha fatto quel ritratto?
ARL. Cossa che 'l m'ha fatto? Tutto el mal che se pol far a sto mondo. La mia rovina, e el mio precepizio. Lo vôi far in polvere, lo voggio desterminar. (vuole calpestarlo)
ARL. No, sior patron, no lo vôi più toccar.
ROB. Dammelo, dico, obbedisci.
ARL. Despensème, ve prego.
ROB. Dammelo, o giuro al cielo...
ARL. (Oh povero Arlecchin!) (prende il ritratto da terra)
ROB. (È innamorato come una bestia). (da sé)
ARL. Tolè sto infame, sto sassin, sto maledetto ritratto. (lo dà a Roberto)
ROB. (Sicuramente lo avrà fatto in pezzi). (da sé; apre l'astucchio e vede il suo ritratto) Come! Ah indegno! Ah scellerato! (ad Arlecchino, pateticamente)
ARL. Sior sì; indegno, scellerato. (con collera)
ROB. A chi? (ad Arlecchino)
ROB. E all'originale? (pateticamente)
ARL. Scellerato e indegno anca lu.
ARL. A vu? A mi, a mi. Scellerato el ritratto, e indegno l'original.
ROB. Perfido, ingrato! Il tuo padrone che ti ha fatto?
ARL. El mio patron? (maravigliandosi)
ROB. Che ti ha fatto questo ritratto? Di', che ti ha fatto l'originale? (mettendogli il ritratto sotto gli occhi)
ARL. El m'ha fatto... (con calore) Oh!... (vedendo che non è il suo)
ROB. Di', scellerato, di che ti puoi dolere di me?
ARL. Ah! sior patron... (con estrema afflizione)
ROB. Se ti spiace partire, se non vuoi venire con me, perché non dirmelo; perché dare in pazzie? Perché prorompere in impertinenze?
ARL. Ah! sior patron... (si getta in ginocchio)
ROB. Meriteresti ch'io ti fiaccassi l'ossa di bastonate.
ARL. Mazzème, coppème, son un povero desfortunà.
ROB. Se sei afflitto, perché non confidarti col tuo padrone che ti ama? Perché ingiuriarmi? Perché insultarmi?
ARL. Ah! sior patron, piuttosto che dir un'impertinenza a vu, me straperave la lengua colle mie man.
ROB. A chi dunque dicevi tu: scellerato? A chi dicevi tu: maladetto?
ARL. A mi, a mi, e al mio ritratto.
ARL. No so gnente. Lo gh'aveva qua. (cerca nelle tasche)
ARL. Dove diavolo xe sto ritratto? (si alza, e cerca in tasca, sul tavolino e per terra)
ROB. (Certamente convien dir che si sia ingannato. Arlecchino mi ama, e non è capace di dire a me le ingiurie che ha dette). (da sé)
ARL. Ma dove diavolo saralo andà?
ROB. Ma questo come ti è capitato alle mani?
ARL. No lo so! (pateticamente)
ROB. Questo è il ritratto che ho fatto fare per Dorotea.
ROB. L'ha ella avuto, o non lo ha avuto?
ROB. Ma tu da chi l'hai avuto?
ROB. Spropositi! Qualcheduno te l'avrà dato.
ARL. Ve digo che nissun me l'ha dà.
ROB. Ma come l'hai avuto?
ROB. Tu mi faresti uscire de' gangheri. Voglio sapere, e vo' che tu mi dica la verità.
ARL. Mi no so gnente... Son vegnù in camera... ho trovà Carlotto... el gh'aveva in man el mio ritratto... ma non so... no l'ho ben visto.. no so adesso s'el giera el mio. L'ho tolto senza vardar... xe vegnù Camilla... ghe l'ho fatto véder... ma no so se l'abbia visto... gh'el voleva donar... la l'ha refudà... ma qualo ala refudà? el vostro, o el mio?... no so gnente. Son confuso, son stordìo. Son fora de mi.
ROB. Orsù, vedo che vi è dell'imbroglio: non capisco il mistero; ma concludo che siamo tutti due ingannati. Questo è il ritratto che doveva aver Dorotea; e a quel che posso comprendere, Carlotto lo ha riportato, e Dorotea probabilmente è quella che lo rimanda. La padrona si burla di me; ed il servitore si è burlato di te.
ROB. Camilla può essere sia colpevole, come gli altri; e può essere sia innocente.
ARL. Questo xe quel che no so, e che me farave deventar matto.
ROB. Non ci pensare. Va a terminare il baule. Io andrò ad ordinare i cavalli. Andiamo, sortiamo di questa casa. Andiamo a Roma. Mio zio mi aspetta. Desidero trovarlo vivo; e qui non vedo che inganni, che pericoli, e che disprezzi. (parte)