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Roberto, Dorotea, Anselmo, Carlotto, ed i suddetti.
ROB. La morte del mio povero zio mi rende padron di me stesso, e mi procura l'onore e la felicità di offerirvi la mano ed il cuore. (a Dorotea)
DOROT. Poiché mio padre il consente, mi abbandono alla più tenera inclinazione.
ANS. Ci ho gusto, giuro a Bacco, a Baccone, ci ho gusto.
ARL. Me rallegro col mio patron.
ROB. Il povero zio è morto. (ad Arlecchino)
ARL. Me despiase infinitamente. Anderémio a Roma?
ROB. Ci anderemo da qui a qualche giorno, se la signora Dorotea lo permette.
DOROT. Signor sì, andate a vedere gli affari vostri.
ANS. E al vostro ritorno si faranno le nozze.
CAM. (Povera me! S'egli parte, ho paura che non torni più). (da sé)
ARL. Sior padron. La vorria pregar d'una grazia.
ROB. Che cosa vuoi?
ARL. Avanti de andar a Roma, me vorria maridar anca mi, se la se contenta.
ROB. Per me non ho niente in contrario; e con chi vorresti tu maritarti?
ARL. Coll'amiga de Camilla. (guardando Camilla)
CAM. (Ah furbo, furbo! Mi vengono i sudori freddi). (da sé)
ROB. E chi è questa amica di Camilla? (ad Arlecchino)
ARL. Domandèghelo a ela.
ROB. E bene: chi è questa giovane? (a Camilla)
CAM. Signore... Io non so niente. (Non so cosa dire). (da sé)
ROB. È sua amica, e non la conosce: tu la conoscerai. (ad Arlecchino)
ARL. La cognosso, e non la cognosso.
ROB. Ma chi è? Che cos'è? Vediamo se merita che un servitore onorato e fedele, come tu sei...
ARL. Oh! per meritar, la merita molto più. Camilla sa chi la xe, ma Camilla no lo vol dir. Sior patron, sior Anselmo, siora Dorotea, ve prego tutti per carità, fe che Camilla parla che la diga chi xe sta persona, chi xe st'amiga che vol el mio ritratto, che m'ha scritto una lettera, che m'ha fatto un presente, che me vol ben...
DOROT. Oh! come Camilla vien rossa. (a tutti)
ANS. Ci scommetterei ch'è Camilla.
CAM. (Povera me! Non so in che mondo mi sia). (da sé)
ROB. Ma perché non dirlo? Perché non parla?
ANS. Fa la vergognosa.
ROB. Animo, animo, figliuola. Arlecchino è un uomo dabbene, è un servitore onorato. (a Camilla) Ma via, parla, prega, accostati. (ad Arlecchino)
ROB. Sono cose da morir di ridere.
ANS. Orsù, finiamola. Vuoi tu maritarti, o restar fanciulla? (a Camilla, con calore)
CAM. Maritarmi. (modestamente cogli occhi bassi e voce tremante)
ANS. Hai qualche genio per qualcheduno?
ANS. Ti vuoi maritare in questa casa, o fuori di questa casa?
CAM. In questa casa. (come sopra)
CAM. Signor no. (con più spirito)
ANS. Ma chi vuoi dunque?
CAM. Vorrei... (modestamente, come sopra)
CAM. Eccolo qui. (fa vedere il ritratto d'Arlecchino, e si copre il viso)
ARL. (Son mi, son mi. Camilla xe l'amiga, e mi son mi). (da sé, giubilando, e tutti applaudiscono)
ROB. Animo, promettetevi tutti due, e al ritorno nostro da Roma vi sposerete. Sei contento? (ad Arlecchino)
ARL. Sior sì. (modestamente)
ROB. E voi siete contenta? (a Camilla)
CAM. Signor sì. (con una riverenza modesta)
ANS. Bravi, evviva e che vivan gli sposi.
CARL. Cos'è quest'allegria, signori? Chi si marita?
ARL. Mi per servirla. (a Carlotto)
CARL. E chi prende il signor Arlecchino? (ironico)
ARL. L'incognita che se burla de mi. (sorridendo)
CARL. (Ah! pazienza; me l'ho meritata). (da sé, mortificato)
ROB. Solleciterò la mia partenza per sollecitare il ritorno, e giugnere più presto al possedimento della vostra mano. (a Dorotea) E voi altri, in cui l'amore ha combattuto colla timidezza, soffrite la dilazione con eguale modestia, e siate sempre teneri sposi, e servitori fedeli.