Carlo Goldoni
Gli amori di Zelinda e Lindoro

ATTO PRIMO

Scena Decima. Don Roberto e Lindoro

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Scena Decima. Don Roberto e Lindoro

 

LIN. Io non so che cos'abbia quella fanciulla. È inquieta, è fastidiosa, non mi può vedere. (scrive)

ROB. Alzatevi.

LIN. Signore, ho da terminar questa lettera...

ROB. Alzatevi, che vi ho da parlare.

LIN. (Vi è del torbido). (si alza)

ROB. È qualche tempo ch'io m'accorgo dell'odio, dell'avversione che passa fra voi e Zelinda, e questa cosa m'inquieta infinitamente.

LIN. Ma io, signore, ve l'assicuro...

ROB. Voi siete, lo so benissimo, un giovine savio, dabbene, e soprattutto sincero.

LIN. Voi avete della bontà per me.

ROB. Zelinda è fastidiosa, altera, e bisognerebbe mandarla via.

LIN. Oh per dire la verità, non è poi di un cattivo temperamento. Può essere ch'io sia un po' troppo delicato... Non posso naturalmente adattarmi a soffrir le donne.

ROB. Sì, è vero. Tanto meglio per voi. Ma vedo che, sia per una ragione o per l'altra, voi non potete star tutti due in una medesima casa.

LIN. E vorreste per me licenziare quella povera giovine? Ne avrei un rimorso infinito, sarei alla disperazione. Una giovane civile, sfortunata, che fida unicamente in voi, che ha bisogno della vostra carità, della vostra protezione.

ROB. Voi parlate da quel giovine saggio e prudente che siete. Bisogna aver riguardo a tutte le circostanze, che accompagnano lo stato deplorabile di questa povera figlia. Io ho anche dell'attaccamento per lei; vedo, conosco che in fondo non è poi sì cattiva. Tutto il male deriva dalla contrarietà de' vostri temperamenti. Questo è il motivo delle inquietudini vostre e mie: onde per non perdere questa giovane civile, sfortunata, che fida in me, che ha bisogno della mia carità, della mia protezione, ho deciso, ho stabilito, ho risolto di licenziare, di mandar via immediatamente il bravo, il saggio, il prudente signor Lindoro.

LIN. Come, signore?

ROB. Oh il come ve lo dirò io. Voi non avete che a prendere la spada e il cappello, e andarvene in questo stesso momento.

LIN. Ma questo è un torto che voi mi fate...

ROB. Voi chiamate un torto il licenziarvi di casa mia, ed io qual titolo dovrò dare alla vostra falsità, alla vostra impostura? Credete ch'io non sappia quel che passa fra voi e Zelinda; ch'io non conosca la furberia delle vostre finzioni? M'avete preso per uno sciocco, per un rimbambito? Vi servite della mia buona fede per burlarvi di me? Andate, sortite subito di questa casa.

LIN. Signore, non istrapazzate così il decoro e la riputazione d'un uomo onesto.

ROB. La ragione per cui vi licenzio, non fa torto alla vostra riputazione: andate.

LIN. Voi non sapete con chi avete a fare.

ROB. Temerario... ardireste voi minacciarmi?

LIN. Non è così, signore; ma voi non sapete chi io sia.

ROB. E non mi curo saperlo. Andate, o vi farò partire per forza.

LIN. (Povero me! E partirò senza veder Zelinda?)

ROB. Prendete la vostra spada e il vostro cappello. (accennando il tavolino ove sono)

LIN. Per carità, signore.

ROB. Corpo di Bacco! Prendete, e andate. (va egli a prender la spada e il cappello, e gli l'uno e l'altro)

LIN. Pazienza! mi licenziate di casa vostra?

ROB. Sì, signore.

LIN. E perché?

ROB. Perché son padrone di licenziarvi.

LIN. È vero, lo confesso, ho fatto male, vi domando perdono.

ROB. È tardi; andate.

LIN. Abbiate compassione almeno...

ROB. Ehi, chi è di ? (sdegnato chiama gente)

LIN. No, signore, non v'inquietate. V'obbedirò. Partirò. Vi raccomando almeno quella povera sfortunata: abbiate pietà di lei, se non l'avete di me; ma permettete che prima ch'io parta...

ROB. No, non la vedrete più: andate.

LIN. Non dimando di vederla; ma voglio dire almeno che non sono io il solo che l'ama... (in aria di sdegno)

ROB. E che vorreste voi dire?

LIN. Dico che in questa casa la sua innocenza non è sicura, che vi è qualcuno che la insidia, forse per disonorarla.

ROB. Temerario, ardireste così pensare di me?

LIN. Non intendo...

ROB. Io l'amo con amore paterno, e voi siete una mala lingua.

LIN. Se avrete la bontà di ascoltarmi...

ROB. O andate via subito, o vi farò cacciar da' servitori.

LIN. (Misero me! Son perduto, sono avvilito, son disperato). (parte)

 


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