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LIN. (al Facchino)Andiamo, andiamo.
FAC. Abbiamo d'andar troppo lontano?
LIN. No, trenta o quaranta passi, e non più.
FAC. Le mie spalle se ne risentono. (vanno per partire)
FLA. (da sé) (Ah sì senz'altro; quello è il baule che appartiene a Zelinda.) (al Facchino) Fermatevi, galantuomo.
LIN. (a Don Flaminio) Che cosa pretendete, signore?
FLA. (a Lindoro) Dove fate voi trasportare quel baule?
LIN. Qual ragione avete voi di saperlo e di domandarlo?
FLA. Temerario! così mi rispondete?
LIN. Signore, io non vi perdo il rispetto, ma non sono più al vostro servigio, e non avete alcuna autorità sopra la mia persona.
FAC. Finiamola, ch'io non posso più.
LIN. (al Facchino, incamminandosi) Seguitatemi.
FLA. (lo ferma con violenza) Fermatevi.
FAC. (lascia cadere il baule in terra, e vi siede sopra) Eh il diavolo vi porti.
FLA. (a Lindoro) Dov'è Zelinda?
LIN. (con sdegno) Io non lo so, signore.
FLA. Come! Avete voi in consegna il di lei baule, e non sapete ov'ella sia?
LIN. Non lo so, vi dico, e quando lo sapessi, non lo direi.
FLA. (minacciandolo) Vi farò parlare per forza.
LIN. (con spirito) Spero che vi guarderete di usarmi qualche violenza.
FLA. Giuro al cielo!... (Ma no, conviene per ora moderare la collera.)
LIN. (al Facchino) Prendete su quel baule.
FAC. (a Don Flaminio) Lo prendo, o non lo prendo?
FLA. Basta, basta... prendetelo, portatelo, non mi oppongo.
FAC. (a Lindoro) Aiutatemi, se l'ho da rimettere in spalla.
LIN. (Misero me! a qual condizione son io ridotto!) (dà la mano al baule, e lo rimette in spalla al Facchino)
FLA. (da sé) (È meglio ch'io li lasci fare, ch'io li séguiti di lontano, e che mi assicuri s'egli lo porti in casa della cantatrice, dove mi dicono ch'ei sia ricoverato.)
LIN. (al Facchino, incamminandosi) Andiamo.