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FAB. Io faccio il mio dovere, e né più né meno...
BAR. (a Zelinda) E voi colla vostra delicatezza...
ZEL. Signora, vi giuro che io non ne ho colpa.
FAB. Anche a voi, Zelinda, deggio dir qualche cosa da parte del padrone. Egli vi fa sapere che sarà sempre lo stesso per voi, che vi riceverà nuovamente in casa, anche a dispetto di sua consorte, ma col patto che abbandoniate Lindoro, essendo una vergogna che una giovane come voi voglia precipitarsi per uno che, se vi sposerà, non vi potrà mantenere. Ho eseguita la mia commissione. (li due restano mortificati) Servitor umilissimo di lor signori. (parte)
BAR. (a Zelinda e Lindoro) Oh cieli! posso sentir di peggio? Indegni! escite subito di casa mia.
BAR. Andate, che non meritate pietà.
BAR. Che amore innocente? Chiamate voi innocenza le imposture, la menzogna, la falsità?
ZEL. Ah, se sapeste le circostanze delle nostre disavventure...
BAR. Mi maraviglio di voi: con chi credevate di aver che fare? L'esser io d'una professione ch'esercito per mia disgrazia, vi faceva forse sperare di trovarmi indulgente alla vostra passione? No, il teatro non guasta il cuore a chi lo ha fortificato dalla prudenza e dall'onestà. Pensaste male, vi regolaste assai peggio. Partite subito, che non voglio più tollerarvi.
ZEL. Oh Dio! pazienza l'andarmene. Il cielo mi provvederà. Ma l'essere da voi scacciata con questa macchia al decoro mio, è un tal dolore per me, è una sì fiera pena, che non avrò coraggio di tollerarla, che mi farà soccombere, che mi darà miseramente la morte.
LIN. Una povera giovine, nata bene, perseguitata dalla fortuna, fugge dai persecutori della sua onestà: si ricovera in casa vostra, in compagnia d'uno, è vero, ma di un uomo onorato e civile, che abbandona tutto per lei, che si riduce a servire unicamente per lei, e sarà il nostro amore colpevole a questo segno? e saremo tutti due vilipesi, scacciati, e sì barbaramente trattati? (patetico)
BAR. Non so che dire. Voi mi movete tutti due a compassione, ma non posso niente in vostro avvantaggio. Il decoro mio non vuole che io vi soffra in mia casa. Vi compatisco, vi compiango, ma vi prego d'andarvene, e di scusare la delicatezza del modo mio di trattare.
LIN. Sì, avete ragione, e partirò meno afflitto, se voi non vi mostrate sdegnata.
ZEL. La vostra compassione consola in parte il mio rammarico, la mia pena.
LIN. Addio, signora, vi domando perdono.
ZEL. Scusatemi per carità. (piangendo)
BAR. Andate, che il cielo vi consoli e vi benedica. (piangendo)
ZEL. Povera sfortunata! (piangendo) ( parte)
LIN. Quando mai si cangierà la mia sorte? (afflitto) (parte)
BAR. Chi può trattenersi di piangere a fronte di due poveri afflitti? Chi è sventurato, sente meglio le sventure degli altri. Sì, essi sono degni di compassione. Chi merita d'essere rimproverato è Don Flaminio. Egli si è abusato della mia buona fede. Mi ha trattato in una maniera indegna di lui, indegna di me. Ah, ciò sempre più mi convince della poca stima in cui sono in faccia del mondo, dell'oltraggio che io faccio a me stessa e alla mia famiglia esponendomi sola agli insulti, ai disprezzi, alla derisione. Ah sì, ho meditato più volte di ritirarmi: quest'incontro mi fa risolvere in sul momento. Vo' abbandonare la professione, vo' ritornare nel mio paese: viver povera, ma quieta. Mendicar il pane, se occorre, ma non espormi ad arrossire tutto il giorno, ed a bagnar colle lagrime il poco danaro che si ricava da un mestiere difficile e pericoloso.