Carlo Goldoni
Gli amori di Zelinda e Lindoro

ATTO TERZO

Scena Settima. Zelinda, Lindoro, Fabrizio in disparte

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Scena Settima. Zelinda, Lindoro, Fabrizio in disparte

 

ZEL. Oh quest'ultimo insulto mi ha avvilita del tutto.

LIN. Finalmente la verità deve trionfare, e il mondo vi dovrà render giustizia.

ZEL. Eh, Lindoro mio, le macchie che si fanno all'onore si cancellano difficilmente. Vi protesto che non ho più faccia da comparire: andiamo via, andiamo lungi da questa città; qui non posso più tollerarmi.

LIN. Sì, andiamo altrove a cercar miglior destino. Vediamo se vi è occasione per imbarcarci.

ZEL. Ma la roba mia?

LIN. Vi sta sul cuore, vi compatisco.

ZEL. Mi costa tanti sudori, mi costa tante mortificazioni, e ho da perderla miseramente?

LIN. Andiamo a ricorrere alla Giustizia.

ZEL. A ricorrere? contro di chi? contro d'un padronebuono, che mi ha teneramente amata, e che m'è contrario soltanto perché mi desidera fortunata?

LIN. I vostri riflessi sono assai ragionevoli. Ma che faremo noi qui, se non abbiamo un ricovero? Se tutto il mondo ci scaccia, c'insulta e ci perseguita?

ZEL. Sono in un mare di confusioni. (restano pensosi)

LIN. Non trovo la via di risolvermi ad alcun partito.

FAB. (da sé in disparte, e si avanza) (Ecco il tempo opportuno per abbordarli. La loro situazione mi è favorevole.)

LIN. Ma qualche cosa convien risolvere. (si volta) Che pretendete da noi? (a Fabrizio)

ZEL. (a Fabrizio) Non siete ancora sazio di perseguitarci?

FAB. Mi dispiace nell'anima d'aver contribuito all'ultima vostra disavventura. Ma, cari amici, vedete bene, io non ne ho colpa. Il padrone mi ha comandato...

ZEL. Eh dite che avete soddisfatto la vostra collera.

FAB. No, vi giuro onoratamente, non ho alcuna collera contro di voi, non ho alcuna idea che vi offenda. Vi compiango, vi compatisco, e se vi ho fatto innocentemente del male, spero di essere in caso di potervi far del bene.

LIN. Non è sì facile che io vi presti fede.

ZEL. E sarebbe per me una nuova disgrazia, se dovessi dipendere da' vostri soccorsi.

FAB. Io non voglio né che mi crediate, né che dipendiate da me. Ho parlato per voi con una persona di qualità, gli ho raccontato il caso vostro, e l'ho persuasa della vostra onestà. Questa persona non è sì sofistica come molti altri. Spero vi riceverà tutti due al suo servigio senz'alcuna difficoltà.

ZEL. No, no, vi ringrazio, non ne son persuasa.

LIN. Ma vediamo chi è la persona...

ZEL. Ora siamo scoperti, e non è da sperare che nessuno ci voglia uniti.

LIN. Perché? Se si persuadono del nostro contegno...

ZEL. No, vi dico, non faremo niente.

LIN. (con un poco di caldo) Ma voi vi volete abbandonare alla disperazione.

ZEL. (dolcemente) Via, non v'inquietate. Provate se sia possibile, ed io son pronta a seguirvi.

FAB. (da sé) (Eh, a poco a poco si ridurranno.)

LIN. (a Fabrizio) Chi è questa persona? Si può sapere?

FAB. Ve la farò conoscer domani. (verso Zelinda) Ma intanto dove vi ricovrerete voi questa notte?

ZEL. Qualche ricovero non ci mancherà.

LIN. Per altro l'ora si avanza, e converrebbe pensarci.

FAB. Ho parlato ancora per questo. Vi è una mia parente, donna di tempo, conosciuta, onorata, che a mio riguardo vi riceve.

LIN. Come! Pretendereste che io conducessi Zelinda in una casa che vi appartiene per aver la libertà di vederla?...

ZEL. (a Lindoro) Vedete, se ci possiamo fidare di lui?

FAB. Ma voi prendete tutto in sinistra parte. V'insegnerò la casa di mia cugina. Non verrò nemmeno con voi, e vi prometto sull'onor mio, che fin che ci siete voi, non ci metterò piede. Non vi costerà niente, non ispenderete un quattrino, ed io non ci metterò piede.

LIN. Quando la cosa fosse così...

ZEL. (a Lindoro) No, no, non ci dobbiamo fidare.

LIN. (a Zelinda) No, dunque?

ZEL. No, vi dico, assolutamente no.

LIN. (a Fabrizio) Zelinda non vuole, e credo abbia ragione di non volerlo.

FAB. (da sé) (La giovane la sa più lunga di lui.)

LIN. È vero che lo stato nostro ci dovrebbe far prendere qualche partito. Ma Zelinda pensa bene, non ci conviene la vostra proposizione.

FAB. Non so che dire, fate quel che volete, ma io non ho cuore di vedervi nella necessità. Non volete passare da mia cugina? Avete paura che io manchi alla mia parola? Che io venga ad importunarvi? Ebbene, soffrite che in qualche modo io possa sollevarmi dal mio rimorso. Ricevete dalla mia amicizia questo lieve soccorso. Ecco in questa borsa quattro zecchini. (tira fuori la borsa, e la fa vedere) Accettateli senz'alcun obbligo di restituzione.

ZEL. Li accetterei per carità da ogn'altro; non li accetto da voi, perché la vostra mano è sospetta.

FAB. Ebbene dunque, se ricusate un benefizio che vien da me, vi svelerò il mistero, e parlerò benché abbia ordine di non parlare. Questi quattro zecchini vengono dalle mani di Don Roberto. Egli mi ha dato ordine di darveli segretamente. (tiene la borsa in atto di presentarla a Zelinda)

ZEL. Sì ora li prendo. (prende la borsa con violenza) Il signor Don Roberto ha tanto del mio nelle mani, che può mandarmi un sì piccolo sovvenimento; e quando anche non avesse del mio, la sua bontà, la sua onestà, non mi metterebbero in pena per ricever un benefizio dalle sue mani.

LIN. (a Fabrizio) Ha ragione, ed ha fatto bene a riceverli.

FAB. (da sé) (Tento tutte le vie per guadagnare un poco di confidenza.)

ZEL. E aveste l'ardire d'offrirmi questo danaro, come un effetto della vostra liberalità?

FAB. Finalmente non è poi sì gran cosa di fare per conto mio...

ZEL. No, non siete capace d'un'azion generosa.

FAB. Voi mi trattate male fuor di proposito.

ZEL. Un'anima bassa che ha avuto cuore di esporci al rossore ed alla miseria, non può concepirepietà, né rimorso.

LIN. Mi pareva impossibile che foste capace d'una buona azione.

FAB. Voi mi offendete e per confondervi, vi dico, e vi sosterrò che il signor Don Roberto non ne sa niente, e che sono io che vi ho regalato i quattro zecchini.

ZEL. Quando è così, tenete la vostra borsa. (getta la borsa a' piedi di Fabrizio)

LIN. (da sé) (Zelinda ha parlato troppo.)

FAB. (a Zelinda) La vostra superbia, la vostra ingratitudine, vi ridurrà all'estrema miseria.

ZEL. No, grazie al cielo, non sono né superba, né ingrata. Ma vi conosco, so il motivo che vi anima e che vi sprona, e mi vergognerei di ricevere alcun soccorso da un uomo, col dubbio ch'egli potesse formare qualche disegno sopra di me.

FAB. Ma io non ho disegno veruno.

ZEL. Basta così, non m'inquietate, vi supplico, d'avvantaggio.

FAB. Restate dunque nella vostra miseria. Nutritevi di sì bell'eroismo, ed aspettate che un'altra mano vi porti que' soccorsi che non meritate. Per me mi fate più ira che compassione. Non ho mai più veduto persone di tal carattere, indocile, orgoglioso, ostinato. Vi pentirete, e vi ricorderete di me. (fa per partire, e lascia la borsa)

ZEL. Non mi pentirò mai d'aver deluso l'inganno.

LIN. Ha lasciato la borsa... (vuol prenderla, torna Fabrizio e la lascia)

FAB. Questo danaro servirà a miglior uso. (prende la borsa) Voi non lo meritate, ed io ve l'offriva senza ragione. (parte)

 


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