Carlo Goldoni
L’apatista

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Il Conte, il Cavaliere e don Paolino.

 

PAOLINO:

(Or son bene imbrogliato). (Da sé.)

CAVALIERE:

Don Paolino, si vede

Ch'io sono un uom sospetto, e che in voi solo ha fede.

PAOLINO:

Se di ciò vi dolete, io parto in sul momento.

CAVALIERE:

No, no, restate pure, anzi ne son contento.

Un uomo come me, che parla chiaro e tondo,

Non teme di spiegarsi in faccia a tutto il mondo.

Parli il Conte a sua posta, e quando egli ha parlato,

Fate voi per la dama l'amico e l'avvocato.

CONTE:

In pochissimi accenti dirò il mio sentimento.

D'Alfonso mio cugino vi è noto il testamento.

Per noi siamo prontissimi a dargli esecuzione;

Di voi saper si brama quale sia l'intenzione.

CAVALIERE:

Dirò...

PAOLINO:

Con buona grazia; pria che il parlar si avanzi,

Del cuor della fanciulla siete sicuro innanzi?

CONTE:

Non crederei che avesse dissimile intenzione;

E poi son io suo padre, son io quel che dispone.

PAOLINO:

È ver, ma il di lei cuore meglio convien sapere;

Né si dee ad un affronto esporre il Cavaliere.

CAVALIERE:

No, amico, vi ringrazio; so compatire il sesso;

Mi accetti, o mi ricusi, per me sarà lo stesso.

Basta che non si dica, ch'io sono un uomo ingrato

Al zio, che a mio dispetto mi vuol beneficato.

CONTE:

Meglio non può parlare. Su dunque, in testimonio

D'amor, di gratitudine, facciamo il matrimonio.

PAOLINO:

Farlo per l'interesse sarebbe un folle inganno:

Non ebbe il testatore l'idea d'esser tiranno.

E voi che li affrettate al nodo repentino,

Esser cagion potete di un pessimo destino. (Al Conte.)

CONTE:

Non vorrei aggravarmi, per dir la verità.

PAOLINO:

Dunque espiar dovete dei cor le volontà.

CAVALIERE:

Della mia disponete.

PAOLINO:

E se la figlia oppone?

CONTE:

Sarebbe un altro imbroglio. Saria una confusione.

Lo zio col testamento vuole che siano uniti,

E se un di lor ricusa, suscita imbrogli e liti.

CAVALIERE:

Io litigar non voglio.

PAOLINO:

Il Cavalier si vede

Che è di cuor generoso, e che si accheta e cede,

Pronto a lasciare ad essa tutto l'intiero stato.

CAVALIERE:

Fate assai ben le parti d'amico e d'avvocato.

So disprezzare i beni, posso il mio;

Ma gli altri non dispongono, quando il padron son io.

Lodo che per la dama siate di zelo acceso,

Parmi aver di tal zelo l'occulto fin compreso.

Non curo le ricchezze, non sono innamorato,

Ma per soffrire i torti, non sono un insensato.

Parli pur la Contessa, esponga i suoi desiri,

Non creda che il mio cuore a violentarla aspiri.

Son pronto un sagrifizio fare alla dama onesta,

Ma d'obbligarmi a farlo la via non è codesta;

E voi, don Paolino, che forse in altro aspetto

Veniste a prevenire la dama in questo tetto,

Sappiate ch'io son tutto a compatire usato,

Fuori che un cuor mendace, ed un amico ingrato. (Parte.)

CONTE:

Questo latino oscuro spiegatemi in volgare.

PAOLINO:

Evvi ragione alcuna, ond'abbia a sospettare?

CONTE:

Non crederei.

PAOLINO:

Vi pare ch'io non sia un onest'uomo?

CONTE:

Almeno all'apparenza sembrate un galantuomo.

PAOLINO:

Dunque ei mi fece un torto.

CONTE:

Sarà non me n'intendo.

PAOLINO:

Le mie soddisfazioni da voi medesmo attendo.

CONTE:

Da me?

PAOLINO:

Da voi, signore. Da voi solo si deve...

Basta, ci parleremo: ci rivedremo in breve. (Parte.)

CONTE:

Ecco un novello imbroglio. Che diavolo sarà?

Io soddisfar lo deggio. Oh bella in verità!

Lo dirò alla figliuola; che fare io non saprei.

S'ella ritrova il modo, che lo soddisfi lei. (Parte.)



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