Carlo Goldoni
L’apatista

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

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ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA

 

Il Cavaliere e Fabrizio.

 

CAVALIERE:

Dunque, per quel ch'io sento, restano qui con noi.

FABRIZIO:

signor, me l'han detto i servidori suoi.

CAVALIERE:

Dunque pensar conviene a un trattamento onesto.

Io vi darò il danaro, voi penserete al resto.

FABRIZIO:

Quanti saranno a tavola?

CAVALIERE:

Non li vedeste or ora?

FABRIZIO:

Resta fra i commensali don Paolino ancora?

CAVALIERE:

Credo che sì.

FABRIZIO:

Perdoni, s'io parlo e dico male;

Parmi don Paolino del mio padron rivale.

CAVALIERE:

Rival per quale oggetto?

FABRIZIO:

Par che mi dica il core,

Ch'egli colla Contessa faccia un poco all'amore.

CAVALIERE:

E per questo, che importa?

FABRIZIO:

Cospetto! in casa mia

Non soffrirei un uomo di simile genia.

Un che mi fa l'amico, e poi, che sottomano

Viene a far il grazioso? Lo caccerei lontano.

CAVALIERE:

Anzi ho piacer ch'ei resti, ed abbia il campo aperto

Qualunque suo pensiere di rendere scoperto.

Può darsi che la dama per lui conservi stima;

Se ciò è ver, non mi preme, ma vuò saperlo in prima.

Certo, ch'ei non doveva coprire i fini sui;

Ma se l'azione è indegna, peggio sarà per lui.

FABRIZIO:

E soffrir lo potete senz'ira e senza sdegno?

CAVALIERE:

Non perdo la mia pace per un sì lieve impegno.

Di quanto male al mondo l'uomo recarci aspira,

Maggior è il mal che interno noi ci facciam coll'ira.

Può rapirci alcun bene forse l'altrui livore,

Ma ogni perdita è lieve, se ci risparmia il cuore.

E chi dall'ira ardente sentesi il cuore oppresso,

Trova ovunque il motivo di macerar se stesso.

So distinguer gli oltraggi, detesto il vil costume,

So che rispetto esige dell'amicizia il nume;

Ma senza ch'io rilasci alle querele il freno,

Lascio che il reo puniscano i suoi rimorsi in seno.

FABRIZIO:

Io che non son filosofo, siccome è il mio padrone,

Quando qualcun mi oltraggia, adopero il bastone.

Mi faccia questa grazia, caro il mio padroncino,

Mi lasci, come merita, trattar don Paolino.

CAVALIERE:

Quel che per me non si usa, nei servi miei detesto.

FABRIZIO:

Se indifferente è in tutto, può esserlo anche in questo.

CAVALIERE:

Indifferente io sono al mal siccome al bene,

Ma non già nel discernere quel che all'onor conviene.

In casa mia non voglio che un ospite si oltraggi;

Non servaci di scusa l'esempio dei malvaggi.

Alle incombenze vostre sollecito badate;

Lasciate a me il pensiere di regolarmi: andate.

FABRIZIO:

Non parlo più, signore. Vuol così? così sia.

Questa bella politica non si usa in casa mia;

Perché certo proverbio io mi ricordo ancora,

Che quando un si fa pecora, il lupo la divora.

E innanzi di vedermi dal dente divorato,

Questa è la mia sentenza, prima il lupo accoppato.

 

 


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