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SCENA PRIMA
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   Dunque pensar conviene a un trattamento onesto.  | 
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   Quanti saranno a tavola?  | 
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   Resta fra i commensali don Paolino ancora?  | 
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   Credo che sì.  | 
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   E per questo, che importa?  | 
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   Non soffrirei un uomo di simile genia.  | 
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   Anzi ho piacer ch'ei resti, ed abbia il campo aperto Qualunque suo pensiere di rendere scoperto. Può darsi che la dama per lui conservi stima; Se ciò è ver, non mi preme, ma vuò saperlo in prima.  | 
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   Non perdo la mia pace per un sì lieve impegno. Di quanto male al mondo l'uomo recarci aspira, Maggior è il mal che interno noi ci facciam coll'ira. Può rapirci alcun bene forse l'altrui livore, Ma ogni perdita è lieve, se ci risparmia il cuore. E chi dall'ira ardente sentesi il cuore oppresso, Trova ovunque il motivo di macerar se stesso. So distinguer gli oltraggi, detesto il vil costume, So che rispetto esige dell'amicizia il nume;  | 
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   Io che non son filosofo, siccome è il mio padrone, Quando qualcun mi oltraggia, adopero il bastone. Mi faccia questa grazia, caro il mio padroncino,  | 
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   Se indifferente è in tutto, può esserlo anche in questo.  | 
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   Indifferente io sono al mal siccome al bene, Ma non già nel discernere quel che all'onor conviene. In casa mia non voglio che un ospite si oltraggi; Non servaci di scusa l'esempio dei malvaggi. Alle incombenze vostre sollecito badate;  | 
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   Non parlo più, signore. Vuol così? così sia. Questa bella politica non si usa in casa mia; Perché certo proverbio io mi ricordo ancora, Che quando un si fa pecora, il lupo la divora.  |