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SCENA PRIMA
Fabrizio ed altri servitori, i quali vanno preparando la tavola per il desinare.
Or principio a capire, che il mio signor padrone Suol dir filosofando cose massiccie e buone. Egli ha detto più volte, che aveva meno guai, Quand'era poveruomo, e stava meglio assai. Ha ragion, ha ragione davvero il padron mio; Ei stava meglio allora, e stavo meglio anch'io. Ora la casa è piena sempre di gente nuova; Il solito riposo da noi più non si trova. E quel che più mi spiace, egli è dover servire Di quelle genti ancora, ch'io non potrei soffrire. Per la dama, pazienza, lo faccio volentieri; Impiegherei, servendola, per essa i giorni intieri: Mi piacciono quegli occhi, e, ancor nel grado mio, Ho piacer di vederla, e mi diverto anch'io. Ma quel don Paolino con dispiacer lo veggio, E il conte Policastro lo soffro ancora peggio. Ma a lor tanti dispetti farò per parte mia, Che per disperazione li vederò andar via. Dispensar i padroni possono i lor favori, Ma gli ordini eseguire sta in man dei servitori; E quando i forastieri a genio non ci vanno, Si servon per dispetto, e disperar si fanno. Figliuoli, questa mane abbiamo a desinare Gente, che a questa tavola non merta di mangiare. A quei due, che vi ho detto, fate penare il bere, Dietro la loro sedia non stiavi alcun staffiere; E se alcuno di loro vi comandasse ardito, Col tondo o col bicchiere macchiategli il vestito. Se vi pare che un piatto gli piaccia estremamente, Levategli dinanzi il tondo immantinente. E s'egli lo trattiene, allor che se n'avvede, Mostrando inavvertenza, zappategli sul piede. Se il caffè vi domandano, ovver la cioccolata, Mostrate non intender che l'abbiano ordinata. |