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Il Cavaliere, poi il, signor Giacinto, poi quattro Armati.
Fabrizio è spiritoso; spero che a perfezione |
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Con permission, (al Cavaliere.) entrate. (Agli Armati, che entrano.) |
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In casa mia, signor ogni sospetto è vano; Vennero i suoi guerrieri, m'inchino al capitano. |
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In quanto a me, signore, desio d'assicurarvi, Che bramo ad ogni costo la via di soddisfarvi. La dama è già pentita, vi offre la mano in dono, Il di lei genitore vuol chiedervi perdono. Don Paolino istesso trema dalla paura; Di aver la vostra grazia col mezzo mio procura. |
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Oh bontade, oh clemenza di un amico sovrano! D'un eroe sì pietoso voglio baciar la mano. (Vuol prenderlo per la mano.) |
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Oh, non voglio. (Si ritira.) |
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Lasciate. (Come sopra.) |
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No certo. (Come sopra.) |
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Mio signore. (Come sopra, incalzandolo.) |
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Amici. (Raccomandandosi agli Armati per paura.) |
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Che temete? (Ritirandosi.) |
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Io? Non ho alcun timore. (Mostrandosi intrepido.) |
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Volete ch'io la chiami? |
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Questo è quel che mi preme. |
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Sopra che? |
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Non occorre. |
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Vi prego. |
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Sto bene. |
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Restino, che ho piacere. Sedete, buona gente, |
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Presto, a quei galantuomini da merendar portate. (Ai Servi.) (I Servitori vanno e vengono portando pane, vino, prosciutto, formaggio, e preparano un tavolino. Gli armati si preparano per mangiare, e posano le loro armi.) |
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Quivi che n'han da fare? Siete in casa d'amici. Lasciateli mangiare. Preparato ho a quegli uomini un po' di colazione, In grazia del rispetto che ho per il lor padrone. Ma del padrone in faccia è troppa inciviltà; Passino in altro loco a star con libertà. Nella stanza contigua portate il tavolino. (Ai Servitori.) Non temete, signore, che il loco è assai vicino. (Gli Armati prendono essi il tavolino, e con allegrezza lo portano in altra stanza, scordandosi delle loro armi.) |
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Gli uomini valorosi se le saran scordate. Subito, servitori, l'armi recate loro. (Sentite: a ciascheduno date un zecchino d'oro, E mandateli in pace, per forza o per amore). (Piano ad un Servitore, il quale unitamente cogli altri prende l'armi, e le porta altrove.) |
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Di che avete timore? |
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Venite qua, signore, parliam del matrimonio. La dama non disprezza l'amor del vostro cuore, Di voi non si lamenta, ma sol del genitore. Quando firmò il contratto, se a lei l'avesse detto, Verso di voi mostrato avrebbe il suo rispetto. Disse a me cento volte: Un cavalier sì vago Puote il cuor di una donna render contento e pago. Chi ricusar potrebbe sì nobile signore? Amar chi non vorrebbe un uom del suo valore? (Giacinto si va pavoneggiando.) Ella vi ama, signore, ella è di cor pentita D'aver dissimulato finor la sua ferita. |
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Meriterebbe, a dirla, ch'io vendicassi il torto, Ma è donna, e tanto basta; m'accheto, e lo sopporto. |
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Oh clemenza, oh bontade! oh grazia inaspettata! Vo tosto a consolare la dama innamorata. (Si alza.) Meno non si poteva sperar da un sì bel core; Condurrò la Contessa a domandarvi amore. (Parte.) |